mercoledì 3 maggio 2017

Il business di chi "aiuta": il caso a Napoli.

Napoli, bambini in cambio di fondi. Inchiesta sulle case famiglia. di Fabio Nestola


Napoli, bambini in cambio di fondi. Inchiesta sulle case famiglia. di Fabio Nestola







Brutta fama, quella dei Servizi Sociali. Ladri di bambini,  il braccio armato del sequestrificio, sequestri di stato, bambini venduti, bambini come merce di scambio …, queste sono alcune delle definizioni  che la stampa riporta in occasione di inchieste che talvolta sollevano quel coperchio che non deve essere sollevato.
A Napoli, in azione gli agenti della polizia municipale del comandante Sementa: sequestrati atti negli uffici comunali. L'assegnazione dei minori veniva pilotata dai funzionari pubblici a favore di alcune strutture che lucravano sui finanziamenti Bambini usati come merce di scambio per lucrare sui fondi del Comune di Napoli destinati all'accoglienza residenziale dei minori.
Questo il sistema criminale che emerge dalle indagini della polizia municipale, coinvolti funzionari del Comune, impiegati delle Politiche Sociali, titolari di case famiglia della città.

Sono anche le teorie che serpeggiano in rete su centinaia di siti, bolg e pagine FB, vengono ripetute nei convegni e nelle manifestazioni, ricorrono nei libri e negli articoli sull’argomento.
Forse non è sempre così,  forse gli interessi economici non sempre prevalgono sugli interessi delle famiglie e dei minori, forse esistono anche buone prassi, forse esistono casi risolti positivamente, forse quella dei Servizi è una fama immeritata.
Forse.

Resta il fatto che decine di migliaia di bambini ogni anno finiscono nel tritacarne, strappati ad uno o entrambi i genitori per alimentare il mercato delle strutture di accoglienza. Perché di mercato si tratta:  sia chiaro che un bambino non entra in casa famiglia a titolo gratuito.
Di contro c’è la difesa dei Servizi stessi, secondo la quale il Sistema lavora sempre al meglio, le operatrici sono sottopagate ed oberate di lavoro a causa della carenza di organico, l’unico focus è l’interesse dei minori, togliere i bambini alle famiglie è solo l’estrema ratio quando null’altro è possibile.
Ok, ma questa estrema ratio riguarda decine di migliaia di famiglie ogni anno, centinaia di migliaia negli ultimi anni. Il tipico genitore italiano è maltrattante per DNA e non ce ne siamo accorti?
In altra data abbiamo affrontato, sempre sulle pagine di Adiantum, il tema della trasparenza sui criteri di collocazione dei minori in istituto, il peso determinante dei Servizi per togliere i bambini alle famiglie,   l’opposizione dei servizi alle videoregistrazioni degli incontri con adulti e minori presi in carico.
Ora vediamo come un caso concreto, uno dei tanti, solleva legittimi dubbi sulle dinamiche che trascinano i bambini fuori dalla famiglia.
Agosto 2013, litorale tirrenico. Un bambino che chiameremo Mario viene accompagnato al Pronto Soccorso di un piccolo centro poiché ha incautamente stuzzicato un alveare ed è pieno di punture.
Il PS non è attrezzato al meglio e suggerisce il trasferimento ad altro ospedale. Il bambino viene accompagnato dal 118 in una cittadina più grande, con un ospedale migliore, ove viene confermata la diagnosi (dermatosi infiammatoria), trattata con Bentelan. 
Il mese successivo Mario è stato tolto alla madre, che chiameremo Anna, con la motivazione di percosse da persona nota. Collocato in una struttura protetta, potestà sospesa alla madre, vietato qualsiasi tipo di incontro anche in modalità protetta.
Come si è potuti arrivare a tanto?
Semplice, basta costruire una versione distorta dei fatti. Il provvedimento del  TdM motiva la misura protettiva col fatto che si sarebbe presentata spontaneamente l’assistente sociale di un Comune nel quale la famiglia non vive più, sostenendo di “aver saputo” che:
  • il bimbo era andato in ospedale per curare i sintomi di percosse (falso 1)
  • il convivente della madre, che chiameremo Giovanni, non aveva accettato la diagnosi (falso 2)
  • Giovanni aveva portato via il bimbo per condurlo in un altro ospedale ( falso 3) e farlo refertare diversamente.
Falso 1 - il referto del PS smentisce la versione dell’assistente sociale, sia la prima che la seconda struttura sanitaria hanno riscontrato sul bambino esiti di punture d’insetto e non di schiaffi, calci, cinghiate etc.
Falso 2 – Giovanni non si è opposto a nulla ne’ avrebbe potuto farlo, semplicemente perché era altrove. Aveva accompagnato la madre di Mario - guardacaso -  proprio nello stesso ospedale ove il bambino è stato trasferito in ambulanza. Infatti, non essendoci ne’ la madre ne’ il convivente, Mario dopo l’assalto delle api è stato accompagnato al PS da un’amica di famiglia.
Falso 3 - per lo stesso motivo  (non era fisicamente presente) Giovanni non ha condotto Mario nel secondo ospedale, ove il bimbo è giunto tramite 118 come da referto.
Come mai tali e tante falsità? Basta leggere i referti che smentiscono clamorosamente l’assistente sociale, non li ha visti prima di partire a testa bassa col suo maldestro “ho saputo che”?
E soprattutto, non li ha letti nemmeno il giudice che ha accettato acriticamente la versione della testimone spontanea?
Inoltre l’assistente sociale dichiara che il bambino ha un aspetto trascurato, va a scuola con le scarpe rotte e generalmente malvestito, sporco, malnutrito.
Curioso però che la solerte assistente sociale si preoccupi di denunciare l’incuria quando ormai il bambino e la sua famiglia non vivono più da 10 mesi nel Comune ove ella esercita. Presso quale scuola avrebbe riscontrato le scarpe rotte e tutto il resto, visto che Mario da mesi è altrove?
Torniamo ai referti di PS.
L’avvocato della famiglia voleva vedere come ci si fosse arrampicati sugli specchi pur di togliere il bimbo alla madre, ma non ha avuto accesso immediato agli atti.  Passano i giorni, passano le settimane, il fascicolo “è su dal PM”, poi “è sceso ma non si trova”,  poi “provi a telefonare la prossima settimana” … intanto Mario langue in casa famiglia.

Si può sapere da dove salta fuori il referto di percosse citato nel provvedimento del TdM?
Alla fine il fascicolo si trova ed ecco la sorpresa degna di Carramba! Il referto di percosse esiste davvero! Peccato che la madre non ne sappia nulla, Mario è stato portato al PS a sua insaputa.
Da chi?
Ma è ovvio, dai Servizi Sociali del nuovo comune di residenza della famiglia, che hanno organizzato un centro estivo ed ogni mattino prima delle 8 prelevano Mario da casa e lo portano al mare con altri bambini.
Quindi esce dal cilindro un referto del mese di luglio, quando il bambino alle 9,45 viene accompagnato al PS del solito piccolo centro. La diagnosi è percosse, ma il piccolo PS invia il bambino presso una struttura pediatrica.
Curioso, ma nel fascicolo non c’è traccia del referto di questa fantomatica struttura pediatrica.
Conferma le percosse?
Ha diagnosticato qualcosa di diverso dalle percosse?
Che terapia ha somministrato? È compatibile con le percosse o serve a curare altro?
Oppure Mario non vi è mai stato accompagnato perché il primo referto era sufficiente?
Ancora: per quale motivo nessuno ha riscontrato segni di percosse alle 8, al momento di prelevare Mario da casa, mentre i segni sono comparsi un’ora e mezza dopo?
Cosa è accaduto fra le 8 e le 9,45?
È stato picchiato da un adulto? Se si, da chi, visto che la madre ed il convivente erano altrove?
Una semplice zuffa tra bambini, con deficit di sorveglianza da parte di chi avrebbe dovuto farlo?
Per quale motivo il bambino è stato immediatamente dimesso e non è stato detto nulla alla madre?
Per quale motivo al rientro a casa i segni di percosse non c’erano più?
Oppure le percosse non ci sono mai state, Mario aveva i soliti gonfiori da punture d’insetto che spariscono in due ore?
Poi si verifica una coincidenza che le AASS non potevano prevedere: 4 giorni dopo la corsa in ospedale per percosse , è il compleanno di Mario.
C’è la festicciola, con tanto di torta e foto. È luglio, Mario nelle foto appare senza maglietta e non c’è traccia (ne’ sul viso, ne’ sulle braccia o sul corpo) degli evidenti segni di percosse che hanno costretto le operatrici a precipitarsi in ospedale.
I lividi impiegano 8/10 gg a sparire, seguono un riassorbimento naturale che fa cambiare colore all’edema (dal nero, al blu/verde, al giallo), ma sicuramente dopo 4 gg nessun bambino può avere la pelle rosea che Mario mostra in foto. Cosa significa?
La zelante assistente sociale, sempre colei che senza essere convocata da nessuno si è spontaneamente presentata al TdM per far nascere l’allarme, dichiara inoltre di “avere saputo” che sono intervenuti anche i Carabinieri. Ulteriore dato: il verbale dei CC nel fascicolo non esiste.  
L’assistente sociale del vecchio Comune di residenza dice che Mario sta malissimo con la madre, viene picchiato, va a scuola in condizioni pessime senza peraltro vederlo a scuola da 10 mesi.
L’assistente sociale dell’attuale Comune di residenza  porta il bambino al PS senza dire nulla alla madre, ne’ prima ne’ dopo. Anche al centro estivo dicono che Mario è picchiato, malnutrito, trascurato.
Che ci sia un disegno comune che collega le due iniziative?
Ma nooooo, non bisogna pensare male, i Servizi Sociali non avrebbero alcun interesse a pilotare le decisioni del TdM verso la cancellazione della figura materna a favore di un istituto prima e di una famiglia affidataria poi.
Nemmeno se il provvedimento del TdM viene notificato, oltre che alla madre di Mario, anche a due signori che si propongono come affidatari. Non è che per caso, e dico per caso, questa vicenda finirà per alimentare la teoria del “sequestro di stato”? Oppure Mario veniva realmente pestato e - unica misura possibile - doveva essere sradicato dalla famiglia?
Se ne stanno occupando medici legali ed avvocati, qualcuno dovrà dare parecchie spiegazioni. Per ora la vicenda è in itinere, aggiorneremo i lettori sugli sviluppi.

Fonte: http://www.adiantum.it/public/3451-napoli,-bambini-in-cambio-di-fondi.-inchiesta-sulle-case-famiglia.-di-fabio-nestola.asp

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