lunedì 30 marzo 2015

Roma: basta festa del papà e della mamma

Fonte: http://roma.repubblica.it/cronaca/2015/03/30/news/_all_asilo_basta_feste_del_papa_e_della_mamma_-110791296/

La decisione della scuola comunale Ferrini scatena la polemica Diffidato il Collegio dei docenti. "Faccia subito dietrofront". "Ci hanno spiegato che la famiglia sta cambiando e che intendono concentrarsi su altre ricorrenze: una scelta fuori legge"
  di FLAMINIA SAVELLI




Cancellate dal calendario la festa della mamma e del papà. Niente disegni, niente filastrocche, niente regalino da portare ai genitori all'uscita. Succede nella scuola dell'infanzia comunale Contardo Ferrini, in via di Villa Chigi, nel quartiere Trieste. La decisione è stata presa con una delibera del 14 ottobre, in cui si legge testualmente: "Il collegio dei docenti decide di non festeggiare la festa della mamma né del papà a causa dei continui cambiamenti della famiglia, ma di evidenziare altre feste". Ma la novità non è indolore. Anche perché, fino a pochi giorni fa, nessuno dei genitori ne era stato messo al corrente. Peggio: i papà si sono accorti di essere stati espunti dal calendario solo all'uscita di scuola il 19 marzo scorso, la festività di San Giuseppe appunto.

Indignati e infuriati, infatti i genitori delle 9 sezioni dell'istituto hanno dapprima chiesto spiegazioni alla coordinatrice scolastica. Poi sono passati alle vie legali. E mercoledì scorso hanno inviato una diffida per chiedere l'immediato annullamento della delibera: "Vogliamo che i nostri bambini possano riavere almeno la festa della mamma", argomenta Guido Rinaldi, l'avvocato (e genitore interessato) che ha avviato le procedure. E verso la dirigenza dell'istituto è subito polemica. "Contestiamo le modalità con cui la scuola ha agito, senza metterci al corrente  -  spiega Roberta Giudici, mamma di uno dei piccoli  -  Quando abbiamo chiesto spiegazioni, ci hanno risposto che la decisione era stata presa nel rispetto delle famiglie allargate e dei bimbi rimasti orfani di un genitore. Nessuno è contrario a questo principio, ma così la scuola così azzera la nostra tradizione, e non troviamo giusto che bambini tra i 3 e i 5 anni vivano in questo clima". "Vogliamo solo capire l'indirizzo educativo e decidere di conseguenza  -  aggiunge Rosa Lavini, un'altra mamma  -  Nessuno di noi è contro le famiglie allargate, ciò non toglie che vogliamo che i nostri figli crescano con la consapevolezza dei ruoli".

E non è tutto. Stando alle informazioni in possesso dei genitori, un'insegnante che aveva comunque permesso ai suoi bimbi di realizzare un disegno per la festa del papà sarebbe stata, per questo, rimproverata dalle colleghe. Attacca il consigliere regionale Fabrizio Santori: "Spero che il ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, intervenga per stralciare la delibera del consiglio dei docenti, e permettere ai bimbi di celebrare almeno la festa della mamma". Ma quello del Contardo Ferrini non è un caso isolato: già nel 2013, alla materna Ugo Bartolomei, nel quartiere Africano, i docenti cancellarono la festa del papà per non mettere in difficoltà un bambino che aveva due mamme. Allora la proposta era partita da una psicologa ma, dopo le proteste dei genitori, la ricorrenza fu ripristinata e festeggiata regolarmente.

martedì 24 marzo 2015

Quella violenza psicologica sui padri separati







Roma, 20 mar – I padri sono quelli che escono maggiormente indeboliti dalla scissione della coppia e dalla conseguente involuzione del tenore di vita. Con la separazione, spesso, si vedono portare via la casa, i figli e lo stipendio. Spesso, non potendo provvedere a una nuova casa, si trovano costretti, nella migliore delle ipotesi, a tornare nella casa di origine con i propri genitori, mentre altri finiscono direttamente in macchina o nei centri di accoglienza.
 
Come se non bastasse, con la separazione, il diritto alla genitorialità viene trasformato in un “diritto di visita” limitato, nella maggior parte dei casi a due pomeriggi a settimana e a due weekend al mese: i rapporti con i figli vengono così privati di qualsiasi spontaneità, gravemente limitati nei tempi e nei modi imposti per sentenza e tutto ciò costituisce una inibizione violenta tanto dei più forti istinti naturali quanto delle sovrastrutture culturali. 

I padri subiscono, in questo senso, una violenza psicologico-relazionale generata sia dall’interruzione giuridica delle relazioni e dei legami genitoriali che dalla campagna denigratoria che un genitore compie, tramite i figli, ai danni dell’altro genitore. Nello specifico, non si prende mai in considerazione la disperazione originata dalla perdita e/o dalla mutilazione della relazione genitori-figli, l’impossibilità di condividere i compiti di cura e educazione e l’esclusione forzata da una partecipazione concreta al processo di crescita. La violenza psicologico-relazionale si aggrava quando il già limitante “diritto di visita” viene subordinato al volere del genitore che esercita un reale potere sulla prole, quando cioè il genitore affidatario (che nella quasi totalità dei casi è la madre) ostacola o impedisce gli incontri dell’altro con i figli. 

Questa esclusione, la cronica limitazione a un ruolo subalterno rispetto all’altro genitore, la mortificazione, l’inefficacia delle contromisure giuridiche e lo status di “intruso” che ne derivano sono le molle che innescano una spirale di disperazione nel padre che il nostro sistema non è in grado né di prevenire né di contenere.
C’è un paradosso di fondo perché un genitore non separato che volesse trascorrere con il proprio figlio un week end ogni 15 giorni, 6 ore nei pomeriggi infrasettimanali e una settimana l’inverno e due l’estate, sarebbe considerato da psicologi, avvocati, assistenti sociali e dai periti, un genitore trascurante.

Un genitore separato che non si accontenta di trascorrere con il proprio figlio un week end ogni 15 giorni, 6 ore nei pomeriggi infrasettimanali e una settimana l’inverno e due l’estate, è considerato un genitore che non vuole adempiere a quanto stabilito dal giudice, dunque conflittuale, potenzialmente abusante e inadempiente. Siamo di fronte a un sistema paradossale e schizofrenico che ci obbliga a concepire l’essere padre in modi paradossali e criminalizzanti. Il ruolo del padre è spesso circoscritto all’erogazione di fondi dunque, secondo questa visione, basterebbe una “giocata” fortunata e i bambini potrebbero anche diventare orfani tanto la tranquillità economica è garantita e all’educazione provvede il genitore superstite. 

Inoltre, durante la separazione, sono molto frequenti accuse strumentali di maltrattamenti e false denunce di abusi sessuali nei confronti delle stesse ex mogli o ancora peggio sui figli che segneranno per sempre la vita dell’ex coniuge che dovrà convivere con una delle accuse più infamanti come quella dell’abuso sessuale sui minori. Tramite queste false accuse le donne hanno la garanzia di ottenere l’interruzione immediata dei rapporti con i figli, che avviene spesso attraverso la fuga nei centri Anti-violenza. Questi ultimi, per quanto siano una conquista di civiltà e un punto di riferimento per la lotta contro la violenza sulle donne si basano però su una convinzione illogica: come può un’istituzione di così grande civiltà non contemplare in sé la possibilità di essere soggetto/oggetto di errori? Spesso questi centri sono strumentalizzati, ne viene fatto un uso fraudolento e vengono ridotti a un mero strumento per ottenere benefici di carattere patrimoniale e/o relazionale.

E i padri? Come verranno risarciti per questa afflizione ingiustamente subita? Chi sosterrà il loro percorso relazionale con i figli? Chi provvederà al loro sostegno psicologico ed economico? Nessuno. L’uomo è a prescindere cattivo per non essere stato un buon marito e questo si trasforma automaticamente in non essere un buon padre. Una possibile soluzione al problema sarebbe superare la logica sterile del castigo perché in questo ambito particolare, non solo il castigo priverebbe i figli del genitore ma coinvolgerebbe anche loro nella violenza psicologica relazionale.

La lotta tra sessi, e il continuo antagonismo tra generi e ruoli ha alterato l’equilibrio sociale, dinamico e giuridico tra maschile e femminile provocando inevitabilmente un disagio che coinvolge più aspetti. La logica giuridica, sotto la spinta del femminismo, ha ecceduto nella protezione dei cosiddetti “soggetti deboli”, capovolgendo il problema senza però risolverlo. La necessità di attribuire più diritti ad uno rispetto che a un altro individuo, e gruppi di individui, ha eliminato la condizione di soggetto debole sostituendola però con altri soggetti deboli.
Marta Stentella

Fonte: 
http://www.ilprimatonazionale.it/editoriale/quella-violenza-psicologica-sui-padri-separati-19401/
 

mercoledì 11 marzo 2015

Festa del papà

 

 

 

Il mese di marzo ci regala la Festa dei papà.
Sarebbe imperdonabile lasciar passare l'occasione, senza parlare di una presenza fondamentale nell'educazione dei figli. Una cosa è certa: se non rivalutiamo la figura paterna, faremo poca strada.

Papà
medaglia d'oro

Basta con i papà di carta, descritti dai libri! È mille volte preferibile mostrarli in diretta, in carne e ossa. Sono questi i veri Trattati dell'arte della paternità. Ecco, dunque, una splendida rassegna di papà che ci insegnano ben più di quanto raccontano cento pedagogisti nei loro volumi.

Il papà di Madre Teresa di Calcutta
«Era un uomo severo e da noi pretendeva molto. Ma era anche molto generoso. Donava a tutti cibo e denaro, senza farsi notare né vantarsi. Diceva sempre: "Dovete essere generosi con tutti come Dio è stato generoso con noi: ci ha dato tanto, tanto, per cui fate del bene a tutti".
Una volta mi ha detto: "Figlia mia, non prendere mai né accettare mai un boccone di pane, se non è diviso con gli altri". Un'altra volta mi disse: "L'egoismo è una malattia spirituale"».
Il papà di Enzo Biagi, scrittore
«Di mio padre ricordo la grandissima generosità, l'apertura e la disponibilità verso tutti. Non è mai passato un Natale - e il nostro era un Natale modesto - senza che alla nostra tavola non sedesse qualcuno che se la passava peggio di noi. Non è mai arrivato in ritardo allo stabilimento. E io ho imparato che bisogna fare ogni giorno la propria parte».
Il papà di san Giovanni Paolo II, papa
«Mio padre è stato meraviglioso e quasi tutti i miei ricordi d'infanzia e di adolescenza si riferiscono a lui. Era così esigente con se stesso da non aver bisogno di mostrarsi esigente con suo figlio. Il suo esempio era sufficiente a insegnare la disciplina e il senso del dovere. Era un uomo eccezionale!».
Il papà di Goffredo Parise, scrittore
«Severo, di poche parole, alto e magro, mio padre con la sua presenza fisica ha influito su di me trasmettendomi la capacità di non scompormi mai!».
Il papà di Giovanni Spadolini, politico
«Il suo amore per i libri e la biblioteca fornitissima in cui passava le giornate hanno avuto un'importanza decisiva nella mia formazione. Era un uomo di grande probità morale e di grande dedizione al lavoro. Nel 1942 e 1943 salvò molti beni di Israeliti. E non solo beni. Nel 1944 rimase ucciso sotto i bombardamenti mentre soccorreva i feriti».
Il papà di Francesca D'Acquino, attrice
«Non potrò mai dimenticare mio padre: se penso al passato, vedo soltanto lui. È stato un uomo che ha sofferto moltissimo. Ha sopportato tredici anni di malattia prima di spegnersi. Una lunga agonia. Era una persona stupenda, eccezionale. Quando studiavo all'Accademia d'arte drammatica a Roma, mi veniva sempre a prendere la sera tardi o mi aspettava alla fermata dell'autobus e, una volta a casa, anche se erano le due di notte, mi preparava la cena. Da mio padre ho imparato tanto: gli vorrò sempre bene».
Il papà di Claudio, diciannove anni
«Mio padre è stato bocciato una volta alle Medie e a scuola non era uno dei migliori. Ora, con tutto quello che ha dovuto affrontare nel lavoro, si è come illuminato. Lui è sempre lì a correggerti, ad aiutarti. Quando stai facendo un lavoro, lui ti mostra sempre un'altra possibilità di fare quella cosa. In famiglia è come una fonte di salvezza».
Il papà di Flavio Insinna, attore
«Molto severo, ma di grandissimo cuore. Un esempio da seguire nella vita di tutti i giorni. È stato il medico degli ultimi, dei più disperati, dei malati di mente, dei tossicodipendenti, dei diversamente abili. Mi ha insegnato che nella vita ci vogliono sempre generosità e la voglia di tendere la mano a chi ne ha bisogno».
Eccoli i nostri meravigliosi papà: che cosa aspetta l'Unesco a dichiararli "Patrimonio dell'Umanità"?
HANNO DETTO
• "Credo che i padri non si rendano conto di quanto i ragazzi hanno bisogno di loro" (Alessandro D'Avenia, insegnante-scrittore).
• "Oggi ne sappiamo quanto basta per comprendere che il bambino per evolversi in modo armonioso, deve poter interagire con entrambi i genitori" (Norberto Galli, pedagogista).
• "Se non rivalutiamo con equilibrio tutte e due le figure dei genitori faremo poca strada" (Antonio Miotto, psicologo).
• "È difficile pensare a Dio padre se non si è fatta l'esperienza di un padre terrestre affettuoso e provvidente" (André Godin, pedagogista).
• "I vostri figli vogliono qualcuno da rispettare! Forse non hanno il coraggio di dirvelo, ma non c'è dubbio su quello che pensano: 'Comportatevi da genitori, non da coetanei!'" (Charles Galea, pedagogista americano).
• "Le parole che un padre dice ai figli nell'intimità della casa, nessun estraneo al momento le sente, ma alla fine la loro eco raggiungerà i posteri" (J.P. Richter, scrittore tedesco).
I PROVERBI DEL PAPÀ
• In casa non c'è pace se la gallina canta e il gallo tace.
• Come canta l'abate, così risponde il frate.
• Il leopardo non perde le chiazze del padre (dal Marocco).
• Se il padre fa carnevale, ai figli tocca fare quaresima.
• Marito innamorato sa fare anche il bucato.
• Chi vuole essere capo deve fare da ponte (dall'Inghilterra).
• Prima di dirigere l'orchestra, bisogna conoscere la musica.
• Albero carico di frutti si china verso tutti.
• I passi del padre fanno l'andatura del figlio.
MEGLIO PADRE CHE GENERALE!
Douglas MacArthur era un generale americano duro, dalla tempra d'acciaio. Sorprese tutti quando si scoprì che un giorno aveva scritto: "Per professione io faccio il soldato e ne sono orgoglioso. Ma sono infinitamente più orgoglioso d'essere padre. Un soldato distrugge per poter costruire. Il padre costruisce sempre senza distruggere mai. Uno ha la potenzialità della morte, l'altro incarna la creazione e la vita. La mia speranza è che mio figlio, quando me ne sarò andato, mi ricordi non in battaglia, ma in casa, mentre recito con lui la mia preghiera quotidiana".

Tratto da: http://biesseonline.sdb.org/editoriale.aspx?a=2015&m=3&doc=9089
bit.ly/1U0k9Eo

E Dio creò il padre

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E Dio creò il padre

Quando il buon Dio decise di creare il padre, cominciò con una struttura piuttosto alta e robusta. Allora un angelo che era lì vicino gli chiese: «Ma che razza di padre è questo? Se i bambini li farai alti come un soldo di cacio, perché hai fatto il padre così grande? Non potrà giocare con le biglie senza mettersi in ginocchio, rimboccare le coperte al suo bambino senza chinarsi e nemmeno baciarlo senza quasi piegarsi in due!».
Dio sorrise e rispose: «È vero, ma se lo faccio piccolo come un bambino, i bambini non avranno nessuno su cui alzare lo sguardo».
Quando poi fece le mani del padre, Dio le modellò abbastanza grandi e muscolose.
L'angelo scosse la testa e disse: «Ma... mani così grandi non possono aprire e chiudere spille da balia, abbottonare e sbottonare bottoncini e nemmeno legare treccine o togliere una scheggia da un dito». Dio sorrise e disse: «Lo so, ma sono abbastanza grandi per contenere tutto quello che c'è nelle tasche di un bambino e abbastanza piccole per poter stringere nel palmo il suo visetto».
Dio stava creando i due più grossi piedi che si fossero mai visti, quando l'angelo sbottò: «Non è giusto. Credi davvero che queste due barcacce riuscirebbero a saltar fuori dal letto la mattina presto quando il bebè piange? O a passare fra un nugolo di bambini che giocano, senza schiacciarne per lo meno due?».
Dio sorrise e rispose: «Sta' tranquillo, andranno benissimo. Vedrai: serviranno a tenere in bilico un bambino che vuol giocare a cavalluccio o a scacciare i topi nella casa di campagna oppure a sfoggiare scarpe che non andrebbero bene a nessun altro».
Dio lavorò tutta la notte, dando al padre poche parole ma una voce ferma e autorevole; occhi che vedevano tutto, eppure rimanevano calmi e tolleranti.
Infine, dopo essere rimasto un po' soprappensiero, aggiunse un ultimo tocco: le lacrime.
Poi si volse all'angelo e domandò: «E adesso sei convinto che un padre possa amare quanto una madre?».
Una signora confidò: «È qualche anno che è morto mio padre e ancora sento fortemente il rimorso di non avergli mai detto: "Papà, ti voglio bene"».
Oggi è il giorno giusto.
Ovunque sia tuo padre, diglielo!



http://biesseonline.sdb.org/editoriale.aspx?a=2015&m=3&doc=9089 

Linea rosa: "Papà oggi sei buono o cattivo?"

FOnte: http://www.adiantum.it/public/3627-ravenna,-anche-il-patrocinio-della-presidenza-del-consiglio-al-convegno-sessista-di-linea-rosa.asp?nuovo=true

"Papà, oggi sei buono o cattivo ?". E' il titolo di un convegno organizzato da "Linea Rosa" e in calendario a Ravenna per il 5 marzo. Sottotitolo: "La violenza familiare davanti ai bambini: riconoscimento e strategie possibili".
Non sorprende l'intento discriminatorio di "Linea Rosa", noto centro antiviolenza facente parte di una rete nazionale che ha come attività quella di "..accoglienza e ospitalità di donne con o senza bambini che subiscono maltrattamenti o violenze", svolta tramite "2 case rifugio ad indirizzo segreto e 1 per ospitalità di donne in situazione di disagio sociale". Le pagine del loro sito web, al pari di tanti altri dello stesso tipo, è un autentico concentrato di odio e luoghi comuni sugli uomini e sulla "violenza maschile contro le donne" che tanti contributi - milioni di euro, non spiccioli - attrae ogni anno dalle casse dello Stato per giungere a quelle della rete nazionale A.V..
Sorprende che anche autorevoli "sponsor" abbiamo frettolosamente abbinato la propria immagine a quella di un "incontro pubblico" di chiaro stampo sessista contro il genere maschile e, segnatamente, contro i "genitori che non partoriscono". Dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna ai Lions, passando per la Fondazione Movimento Bambino (...), gli sponsor fioccano.
Fa scandalizzare, però, che la Presidenza del Consiglio dei Ministri - in buona compagnia di Provincia e Comune di Ravenna - abbia patrocinato moralmente un simile evento che, in tutta evidenza, fin dal titolo si mostra contro i padri.
I buoni conoscitori dei processi decisionali dell'Ufficio di Presidenza affermano che la locandina, probabilmente, non sia stata trasmessa (a Comune e Provincia, però, pare sia regolarmente arrivata) o trasmessa in bozza, ben prima della sua stesura definitiva. Non si spiega, altrimenti, come i dirigenti renziani non abbiamo levato gli scudi di fronte al chiarissimo indirizzo discriminatorio dei contenuti. 
Per questo motivo, tutti gli sponsor - e in special modo l'ufficio di Presidenza - stanno ricevendo in queste ore una lettera formale di protesta indirizzata dal Presidente di ADIANTUM, prof. Giacomo Rotoli, inviata per conoscenza anche al titolare del Dipartimento delle Pari Opportunità, sebbene quest'ultimo rechi, in bella evidenza nella home page, il numero antistalking 1522 dedicato solo alle vittime femminili (al 30% di vittime maschili nisba) e il link alla rete dei centri antiviolenza di cui, ovviamente, Linea Rosa fa parte.
Peccato che, secondo lo studio quinquennale di Telefono Azzurro (2008 - 2013) il responsabile dell’abuso in famiglia è di sesso femminile nel 46,6% dei casi (e maschile nel 53,4%). Nei casi di abuso sessuale il responsabile è frequentemente un soggetto di sesso maschile (88,1% - 11,9% di sesso femminile), mentre nei casi di trascuratezza è più spesso coinvolto un responsabile di sesso femminile (64,1%), frequentemente la madre.
Questo, l'ufficio di Presidenza del Consiglio dei Ministri, deve averlo dimenticato.
Vorrà dire che glielo ricorderemo.
Nel frattempo, a Ravenna saranno presenti osservatori di ADIANTUM, al fine di documentare la correttezza (o meno) dell'informazione che verrà fornita agli intervenuti. Trattandosi di un incontro pubblico, riteniamo di non aver bisogno dell'invito.

Fonte: Redazione







Vezzetti: meglio l'affido condiviso



L'esposizione del Dott. Vittorio Vezzetti, raccoglie ciò che viene
indicata come la raccolta informativa di evidenze a livello mondiale
sull'Affido materialmente Condiviso.
Le valutazioni di tipo psicologico e
medico che vengono evidenziate da alcuni scienziati e medici specializzati
in età evolutiva e analisi comportamentale dell'infanzia,  rappresentano il
cuore dell'analisi ed il punto di vista da cui si possono guardare alcuni
eventi con occhio professionale ma soprattutto clinico.

 *Nello specifico*
 il problema dei figli di genitori separati rappresenta un'emergenza in
costante crescita non solo, come si pensa, sotto il profilo sociale e
giuridico ma anche - per quel che qui interessa - sotto il profilo
medico-sanitario
. La rottura del nucleo genitoriale porta in quasi tutto il
mondo occidentale alla frequente perdita della figura e del ruolo di un
genitore con conseguenti danni da "parental loss" e "childhood adversity".
 I danni sono chiari, sia da un punto di vista *medico scientifico *che
appunto* socio-sanitario*.
  Ricordiamo i danni bioumorali, ormonali e persino cromosomici derivanti
dalla *parental loss* e dalla *childhood adversity*. Alcune ricerche su
vasta scala hanno evidenziato seri danni alla salute di minori figli di
coppie separate che dopo il divorzio si sono trovati a vivere una
situazione di monogenitorialità, con riflessi legati all'uso di droghe,
tabacco, alcool, sulla vittimizzazione (intesa come bullismo e violenza
fisica agiti e subiti) e soprattutto sul *distress* mentale. insoddisfazione
scolastica, bassa qualità di vita e malattia psichica.

*Da Norimberga un autorevole contributo*
E' di recente pubblicazione il testo "Wechselmodell" nel quale la
professoressa dell'università di Norimberga Hildegunde Sunderhauf ha
selezionato gli unici 50 studi sulle modalità di affido dei minori,
pubblicati tra il 1977 e il 2014, su riviste internazionali
scientificamente riconosciute. Nella sua metanalisi l'autrice ha analizzato
in modo rigoroso le conclusioni dei singoli studi e le loro interazioni,
traendone una valutazione complessiva, le cui considerazioni finali
appaiono inequivocabili: 2 studi (4 per cento) hanno dato risultati
negativi rispetto all'affido materialmente condiviso; in 11 studi sono
stati segnalati effetti negativi neutralizzati da altri effetti positivi;
mentre 37 degli articoli presi in considerazione (74 per cento), hanno
prodotto inequivocabili risultati positivi per l'affido materialmente
condiviso;

sulla rivista dell'Associazione degli psicologi americani (APA) è stato
inoltre pubblicato recentemente un articolo scientifico che contiene una
revisione metanalitica dei più autorevoli studi mondiali sul tema
dell'affido condiviso di bambini sotto i 4 anni. L'articolo (che ha
ricevuto l'endorsement di 110 studiosi internazionali) conclude
testualmente: <<In generale i risultati degli studi rivisitati in questo
documento sono favorevoli ai piani genitoriali che bilanciano il tempo dei
bambini piccoli tra le due case in modo il più uguale possibile. Il
pernottamento dei bambini nella casa del papà non crea problemi, ma
favorisce nei bambini la consapevolezza che l'accudimento è compito di
entrambi i genitori e non di uno solo di loro. (Warshak, 2014)>>.

 *Cosa succede altrove*

Il vantaggio che parte dell' Europa e degli USA mostra nei confronti
dell'Italia è riconducibile ad un sostanziale confronto anticipato verso
leggi e fenomeni sociali manifestatisi prima rispetto a noi sia in ordine
di tempo che di conseguente organizzazione. Mentre il nostro paese mostra
una lentezza verso i temi che riguardano la società ed il costume
certamente preoccupante.
 L'attenzionalità verso i fenomeni sociali legati a separazioni e divorzi è
parte della storia dei paesi europei e americani che per primi si sono
adoperati per creare premesse di benessere, attraverso leggi e
modificazioni delle stesse, ma anche attraverso attente valutazioni
centrate su di un parametro essenziale per definire il benessere della
popolazione: *la valutazione medico scientifica*.

 Aspetto quello dell'*osservazione scientifica* avulso da concetti
ideologici ed inquadrabile nell'area del pragmatismo più assoluto. A
problema oppongo soluzione.
 Solamente l'*osservazione scientifica*, infatti, comprova sostanzialmente
l'efficacia di leggi ed intuizioni comuni, in sostanza se la prevenzione ha
da sempre mostrato quanto un fenomeno negativo possa essere letto,
contenuto e limitato è altrettanto merito di una seria attività valutativa
la misurazione della reale efficacia degli effetti prodotti degli *accorgimenti
istituzionali* adottati da un paese.

 *Nella pratica*

Non possiamo dunque prescindere dal compiere il passo numero uno, la
valutazione medico scientifica dopodichè la prevenzione è seconda nell'
analisi valutativa e a seguire si adottano gli strumenti frutto di queste
riflessioni.

 *Alcune strategie preventive*

 Così ecco che l'uso delle cinture di sicurezza nelle auto ha ridotto
drasticamente danni e decessi, lo stesso dicasi per l'uso del casco
destinato ai motociclisti. Davanti ad un fenomeno drammatico diviene
strategico adeguare strumenti e misure, apporre correttivi che impediscano
l'allargarsi del fenomeno al fine di ridurlo o annullarlo. In questo senso
si muove anche la medicina nella direzione dello sconfiggere la malattia e
debellarne le cause scatenanti, anche il vaccino antivaioloso, inventato da
Jenner, nacque dall'osservazione che chi faceva il vaiolo benigno delle
mucche non conseguiva quello mortale degli uomini.

 Questa è anche la premessa ed il taglio dell'*interrogazione parlamentare*
che intendiamo sottoporre al Ministero della Salute affinchè ci si adegui a
standard europei, ma non solo, e ci si incammini verso soluzioni condivise
- condivisibili, volte ad accelerare la corsa del nostro paese per
raggiungere quelli che prima di lui hanno spianato la strada, che distano
ancora tanto ma non per questo sono irraggiungibili.
 Pur consapevoli che anche la velocità di reazione sarà il segnale di una
volontà di adeguamento, non possiamo che sperare che l'uragano Renzi sappia
cogliere questa opportunità.

martedì 10 marzo 2015

L'esilio di Dio



LA REPUBBLICA: La democrazia deve chiedere l’esilio di Dio

Articolo di Paolo Flores d’Arcais (Repubblica 9.3.15)

“”La laicità è diventata una questione di vita e di morte, alla lettera. Costituisce, non a caso, la questione cruciale della democrazia. Anche se lo avevamo dimenticato, se avevamo dato la laicità per acquisita, al punto che anche il pensiero “laico” prestigioso ne teorizzava il superamento come inveramento (l’immancabile Aufhebung hegeliano): la società post-secolare. Il 7 gennaio il terrorismo islamico ha riportato le democrazie alla realtà: la strage della redazione di Charlie Hebdo è una dichiarazione di guerra alla libertà d’espressione, alla laicità, al disincanto, alla modernità, cioè alle stratificazioni logiche e storiche via via più lontane e più profonde che fanno da fondamenta della democrazia. Che questa progressione di fondamenta fosse la posta in gioco lo ha capito la passione illuminista e repubblicana delle masse di Parigi e dell’intera Francia, con la più grande manifestazione di piazza mai registrata dai tempi eroici della Liberazione.
L’emozione popolare — ancora più significativamente se inconsciamente — ha rappresentato il massimo di lucidità e comprensione razionale dell’evento: i terroristi hanno voluto mirare al cuore delle libertà “occidentali” in quanto libertà tout court: la coerenza del disincanto. Uno scontro di civiltà che non contrappone islam a mondo giudaico-cristiano, ma che divide e mette in conflitto all’interno di entrambi e di ogni altra costellazione cultural-geo-politica. Non la guerra santa tra religioni, infatti, ma la guerra del Sacro contro l’autosnomos, il “darsi da sé la legge”, la sovranità di Homo sapiens su sé stesso, che sostituisce su questa terra l’eterosnomos, la sovranità di Dio, come fonte di legittimità nel dettare gli ordinamenti, i valori, i diritti e i doveri di ciascuno.
Una guerra che divide il laico intransigente dal laico accomodante assai più che il credente dal non credente, ed evidenzia i due grandi “partiti” storici che percorrono l’Occidente, quello della coerenza o dell’ipocrisia rispetto al disincanto e alla sua logica. La laicità è un corollario del disincanto, e la libertà fino all’irrisione di ogni potere è il corollario di entrambi, lo svolgimento pieno dell’ autosnomos, il cui culmine è dunque quello libertario (e libertino) che proclama: ni Dieu ni maître .

Se la religione nella sfera pubblica è addirittura un valore aggiunto, come ripete da anni Habermas in un crescendo, l’“argomento Dio” deve avere piena legittimità nella discussione politica, nei comizi elettorali, nei dibattiti televisivi.
Di conseguenza, questo stesso argomento ha pieno titolo per risuonare nelle aule parlamentari quale motivazione per avanzare, approvare, rifiutare una proposta di legge. Sarebbe paradossale e incongruo che una giustificazione valida per decidere, nel dialogos tra cittadini, chi scegliere quali rappresentanti della propria sovranità, fosse poi bandita dal confronto con cui i “deputati” di quella stessa sovranità arrivano a decretare la legge. Se però la volontà di Dio costituisce una buona ragione democratica per statuire le misure normative che vincolano tutti i cittadini, a maggior ragione varrà come motivo da invocare nelle aule dei tribunali e nelle relative sentenze, con cui si applica la norma generale e astratta alle fattispecie concrete dei casi singoli.
 
 Ma c’è qualcuno, che si proclami laico (e non importa con quali aggettivi limitativi), disposto ad ammettere che si condanni o assolva un imputato perché “Dio lo vuole”? Le pretese teocratiche ne sarebbero perfettamente soddisfatte. La sfera pubblica è una e indivisibile, anche e proprio per la ricchezza e la pluralità delle sue articolazioni, che la rendono una complessità circolare di ambiti comunicanti. Se il nomos di Dio è ammissibile in uno di essi non può essere escluso dagli altri. L’alternativa perciò è secca. O l’esilio di Dio dall’intera sfera pubblica, o l’irruzione del Suo volere sovrano — dettato come sharia o altrimenti decifrato — in ogni fibra della vita associata. Aut aut. Ecco perché è inerente alla democrazia l’ostracismo di Dio, della sua parola e dei suoi simboli, da ogni luogo dove protagonista sia il cittadino: scuola compresa, e anzi scuola innanzitutto, poiché ambito della sua formazione. Al fedele restano chiese, moschee, sinagoghe, e la sfera privata “in interiore homine”.

Il “darsi da sé la legge”, anziché obbedire a quella eterna di Dio, che fa di Homo sapiens il creatore e signore della norma, possiede una logica incontenibile. Una volta assunta, cioè scatenata dai ceppi dell’ eteros divino, deve incarnarsi progressivamente nelle successive conquiste storiche di universalizzazione dell’ autos umano: dalla laicità di “etsi Deus non daretur” per i sovrani, che per i sudditi suona “cuius regio, eius religio”, alla spartizione di sovranità con parlamenti rappresentativi censitari, alla “liberté” intrecciata a “égalité” e “fraternité” del primo suffragio “universale”, alla sua implementazione con il voto alle donne. Oppure regredire e dileguare nella restaurazione di eteronomia del Sacro. Fino alla feccia, eventualmente: la teocrazia.
Ma quale eteros, se l’Unico Dio è diventato plurale? Dopo che i monoteismi hanno soppiantato i tolleranti pantheon “pagani”, ibridabili e interscambiabili, la volontà di Dio, per funzionare da ordinatore sociale, deve essere Una. Il Nomos cui si deve obbedienza, per essere da tutti riconosciuto quale fonte tranquillizzante di senso e di sicurezza, deve essere incontrovertibile, dunque necessariamente Uno. L’eresia, se non viene cancellata sul nascere dal rogo e si afferma come interpretazione alternativa, lo mina irrimediabilmente. L’Altro e Alto, se non resta Uno, se ormai scisso, diventa polemos, consegnato a un’ordalia interminabile.
Ma il giudizio di Dio è visibile solo come verdetto del campo di battaglia. Per non distruggere nelle guerre di religione le società che deve governare, la sovranità del Nomos divino deve dunque essere neutralizzata. L’istinto di sopravvivenza ha forzato l’Europa dei sovrani ad accogliere l’empia invasione della laicità, che vedrà infine i barbari — terzo stato e sanculotti — impadronirsi della sovranità tagliando la testa ai Sovrani.

Una volta istituita la sfera pubblica in forma democratica, rilegittimarvi Dio vuole dire inocularvi il virus che rende incombente e in agguato l’intero percorso a ritroso, fino alla guerra civile di religione, potenziale e permanente. Perciò. La religione è compatibile con la democrazia solo se disponibile e assuefatta all’esilio di Dio dalle vicende e dai conflitti della cittadinanza, solo se pronta a praticare il primo comandamento della sovranità repubblicana: non pronunciare il nome di Dio in luogo pubblico.

La religione è compatibile con la democrazia solo se addomesticata, cioè convertita all’autonomia assoluta della norma civile rispetto alla legge religiosa. Solo se persuasa che la sanzione spirituale del peccato non può pretendere il soccorso del braccio secolare che lo renda reato. Di più, la religione deve accettare la libertà del peccato come diritto di ogni cittadino: il peccato mortale garantito e protetto dalla legge, se così ha deciso la sovranità dell’ autosnomos. Accettare e interiorizzare.
 
Le religioni compatibili con la democrazia sono dunque religioni docili, che hanno rinunciato a ogni fede militante (di sharia e martiri o di legionari di Cristo e altre comunioni e liberazioni) che intenda far valere nel secolo la morale religiosa. Sono religioni sottomesse, che hanno interiorizzato l’inferiorità della “legge di Dio” rispetto alla volontà sovrana degli uomini su questa terra. Sono religioni riformate, perché avvezzano il fedele a una vita serenamente scissa tra l’ordinamento della salvezza e l’ordinamento della convivenza, tra l’obbedienza personale ai comandamenti divini e la doverosa promozione della libertà di ciascun altro di violarli.””

Fonte: http://apocalisselaica.net/la-democrazia-deve-chiedere-lesilio-di-dio/

venerdì 6 marzo 2015

Padri separati e povertà: lo Stato è complice

Padri separati e povertà, lo Stato è complice










Titolare dell’Agenzia Italiana Genitori Separati


Alzi la mano chi non ha mai letto di padri separati finiti alla Caritas o che si sono arrangiati alla bell’e meglio per non finirci. Il web pullula delle loro storie, tanto che ormai è chiaro a tutti quel che può accadere quando un matrimonio finisce sul binario morto della separazione.
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Alla madre vanno la casa coniugale (quando c’è), i soldi per il mantenimento dei figli e il 50% delle spese straordinarie (mediche, scolastiche e sportive). E, come se non bastasse, il padre deve farsi anche carico della rata del mutuo (metà, se non tutta) di una casa di cui non disporrà più fino all’indipendenza economica dei figli e dell’affitto per una nuova abitazione in cui poter esercitare il proprio diritto di visita.
Così la povertà è sempre in agguato. È in questi particolari casi che lo Stato giunge in soccorso. In tutta Italia è un fiorire continuo di strutture di accoglienza ad hoc: Bolzano, Milano, Rimini, Roma, Savona, Torino, Venezia. Tra le ultime, in ordine cronologico, Prato. “Sei un padre separato? Lo Stato ti aiuta”. Basta uno slogan da cavalcare in campagna elettorale, il “giusto” contributo di soldi pubblici e una buona dose di demagogia. E giù consensi. Tutti a dire “bella iniziativa”, “ci voleva”, “era ora che qualcuno li togliesse dalla strada”.
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Così le case per i padri separati prendono piede. A quelle già esistenti se ne aggiungono di nuove e chissà quante altre ne seguiranno. Forse una in ogni capoluogo di provincia. Insomma minimo sforzo, massima resa: di soldi, di consensi, di voti. Peccato che un tetto sopra alla testa l’avrebbero bisogno in migliaia, non qualche sparuta decina. Ma tant’è. In fin dei conti basta un poco di zucchero…E la pillola va giù? Non proprio. In un Paese civile simili strutture non dovrebbero neppure esistere. In Italia, invece, non solo esistono, ma addirittura proliferano per una distorsione legislativa secondo cui, in funzione dell’interesse prioritario dei figli, in caso di proprietà comune tocca al padre lasciare la casa, mentre, se la madre non vanta alcun titolo di proprietà sull’immobile, il giudice non può “espropriare” il bene per darlo all’altro genitore. In altre parole la debolezza economica non viene considerata ai fini dell’assegnazione della casa coniugale. Dettagli giuridici, certo, ma ci sarà un motivo se più di una volta la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per non aver garantito i diritti dei padri separati. C’è un limite alla propaganda politica oltre il quale sarebbe bene non andare.
Uno Stato dovrebbe scoraggiare la povertà, non favorirla. Trovare soluzioni, non palliativi. Basterebbe ripensare a livello legislativo, secondo una visione più bilanciata dei diritti, una diversa regolamentazione della casa coniugale. Forse, però, lo Stato non ha nulla da guadagnarci.

giovedì 5 marzo 2015

Eresia antropologica è l'assenza di padre e madre

Rimpiazza l’ideologia marxista ed è altrettanto distruttiva e totalitaria, fondata su una pseudo-uguaglianza e la rivendicazione cieca degli “orientamenti sessuali” per organizzare la società. È lo scopo ultimo della teoria del genere, spiega a Tempi Tony Anatrella, sacerdote e psicanalista, che vive a Parigi, dove insegna alla libera Facoltà di filosofia e di psicologia di Parigi e al Collège des Bernardins. Consultore del Pontificio consiglio per la famiglia e del Pontificio consiglio per la salute, ha pubblicato molte opere tra cui La teoria del “gender” e l’origine dell’omosessualità (San Paolo 2012) e Il regno di Narciso (San Paolo 2014).
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Professor Anatrella, da tempo lei parla della teoria del gender come di una ideologia totalitaria e ha scritto che, come il marxismo nel secolo scorso, il gender sarebbe diventato il campo di battaglia di questo secolo. Non è eccessivo?

Anzitutto non bisogna confondere gli studi di genere che analizzano le relazioni fra gli uomini e le donne nella società nelle diverse aree culturali al fine di pervenire a un migliore rispetto della loro dignità, uguaglianza e vocazione rispettiva, con la teoria del genere, ispirata a diverse correnti di pensiero. Ma anche lo studio sociologico, che di per sé è semplicemente un metodo di osservazione, diventa un’ideologia quando afferma una “parità totale” fra uomo e donna, poiché la “parità” non è l’“uguaglianza”. Si vorrebbe far credere, in base a una visione puramente contabile della relazione, che i due sono intercambiabili. Ora, se è vero che a parità di competenze un uomo e una donna possono esercitare le stesse responsabilità, il problema è che si vuole far credere che psicologicamente e socialmente l’uomo e la donna sono identici. Eppure uomo e donna non possono assumere sistematicamente gli stessi compiti, né gli stessi simbolici, a cominciare da quelli della maternità e della paternità. Questa prospettiva egualitarista ha falsato e complicato le relazioni fra i due sessi e spiega in parte – anche se non è l’unica ragione – perché le relazioni all’interno della coppia sono diventate difficili e perché molti non vogliano più sposarsi o abbiano paura del matrimonio. Sociologicamente si è sempre constatato un fenomeno ricorrente nella storia: quando le donne entrano in massa in un settore di attività, gli uomini se ne vanno. Così l’insegnamento, la medicina e la giustizia si femminilizzano sempre più, mentre gli uomini si orientano verso altri mestieri. Ma l’ideologia di genere si spinge ancora più in là, affermando che il corpo sessuato non ha alcuna importanza nello sviluppo psicologico. In realtà la psicologia di ciascuno di noi si sviluppa nella misura in cui avviene l’interiorizzazione del suo corpo sessuato. I diversi autori che condividono l’ideologia del gender sostengono anche che bisogna pensare diversamente la sessualità e l’organizzazione della società: non bisogna più definire la sessualità a partire dalle due sole identità sessuali che esistono, quelle dell’uomo e della donna, perché secondo loro ciò è iniquo, ma a partire dagli orientamenti sessuali come l’eterosessualità, l’omosessualità, la bisessualità, la transessualità, ecc. In questo modo tutti si troverebbero in condizioni di uguaglianza, mentre se ci si riferisce unicamente all’identità di uomo e donna si escludono altre “forme” di sessualità. Come si fa a non vedere che questa prospettiva è contraria al dato di realtà? Nella realtà, l’identità sessuale riguarda l’essere della persona, mentre gli orientamenti sessuali riguardano le pulsioni sessuali. Se tutto va per il verso giusto queste ultime si elaborano e si integrano nella personalità a partire dall’identità oggettiva del soggetto, mentre le pulsioni ricercate per se stesse attraverso un tipo di orientamento si isolano dalla personalità e la mantengono nell’immaturità affettiva e in una relativa impulsività mai soddisfatte. Ciò sfocia in personalità non unificate e instabili. Detto in altre parole, prendere in considerazione gli orientamenti sessuali per definire la sessualità, cioè pensare che la differenza delle sessualità deve sostituire la differenza sessuale, che si fonda sull’uomo e sulla donna, è distruttivo come lo era il marxismo. Per settant’anni le società sono state dominate dalla cecità di fronte a questa ideologia fondata su una pseudo-uguaglianza e sulla convinzione che l’essere umano è il prodotto di una cultura: la stessa cosa che la teoria del gender sostiene a sua volta riguardo all’identità sessuale. Se la persona è semplicemente il prodotto di una cultura, egli diventa un automa e scompare la sua singolarità. Il gender diventa totalitario nella misura in cui le società occidentali vogliono riorganizzare politicamente la società a partire dalla visione irrealistica degli orientamenti sessuali, come nel caso del “matrimonio” fra persone dello stesso sesso. Eppure l’omosessualità non può essere all’origine né della coppia coniugale, né della famiglia, poiché questa forma di sessualità fra due persone dello stesso sesso non possiede – sul piano psicologico, corporeo e fisiologico – le stesse caratteristiche di quella fondata sull’alterità sessuale, che è condivisa soltanto nel rapporto uomo-donna. E siccome la coppia e la famiglia cosiddette “omosessuali” in senso proprio non esistono, si tratta soprattutto di un artificio e di una corruzione del linguaggio. Con le parole è sempre facile ingannare, dando nomi alla realtà più in funzione dei propri fantasmi che del reale. Ma l’omosessualità è diventata una questione politica per riorganizzare la società a partire da essa. Progressivamente si costituisce in numerosi paesi europei un sistema repressivo sul piano giudiziario per fare ammettere questo nuovo principio. Ciò che è in discussione non sono le persone omosessuali, che devono essere rispettate come tutti i cittadini, ma una volontà militante e politica di fare dell’“omosessualità” una norma che partecipa dell’ordine della coppia e della famiglia. I militanti stessi che si battono per questa causa affermano molto chiaramente che bisogna «aprire il matrimonio a tutti» per meglio distruggerlo, allo scopo di pervenire all’uguaglianza di tutti nelle differenti forme di relazione. Ritroviamo la stessa idea nell’applicazione iniziale del marxismo nei paesi comunisti.
anatrella-narcisoNei suoi libri lei non teme di affermare che l’omosessualità è una carenza psichica. Può spiegare cosa intende e perché questa sua convinzione non dovrebbe essere ritenuta omofoba?
Nel momento in cui qualcuno si interroga sull’omosessualità e sulla volontà politica di iscriverla nella legge consacrata alle condizioni del matrimonio e della famiglia riservata esclusivamente all’uomo e alla donna, subito viene accusato di tutti i mali, a cominciare dal cliché dell’omofobia. È un modo di imbavagliare l’intelligenza e il discorso, nel momento stesso in cui si afferma continuamente che la libertà di espressione è un “valore” delle società democratiche. Il liberalismo condizionato dal “relativismo etico” è repressivo nelle sue leggi sempre più restrittive tanto quanto lo erano quelle dei paesi totalitari. Si mettono alla gogna certi autori come capri espiatori e si isolano aspetti della vita che è vietato criticare. E tuttavia occorre spiegare da dove viene l’omosessualità. Da quasi due secoli la letteratura psichiatrica e la psicanalisi si interrogano sulle origini dell’omosessualità e sul tipo di psicologia che ne deriva, ma da qualche anno questa riflessione è diventata tabù ed è vietata. Non dovremmo più cercare di capire che cosa sia l’omosessualità e a cosa corrispondano queste pratiche affettive e sessuali, ovvero anche su quali meccanismi e su quali processi psichici riposino. Ma perché non dovremmo studiare questa particolarità della sessualità se non per giustificarla in qualunque modo, mentre osiamo esaminare analiticamente la maggior parte dei comportamenti umani? Quando si impedisce agli specialisti di approfondire una questione siamo in presenza di un riflesso irrazionale che sconfina nell’ideologia totalitaria. Da 40 anni studio questo fenomeno e ho pubblicato numerosi libri e articoli sulla questione. Ho esaminato le differenti ipotesi neurologiche, ormonali e genetiche, che non risultano conclusive, e sono giunto alle origini psichiche. Effettivamente, le pulsioni sessuali all’inizio della vita psichica sono sparpagliate sul corpo del bambino; esse non sono ancora finalizzate se non cercando la propria soddisfazione per se stesse. Progressivamente il soggetto le lavorerà psicologicamente sulla base delle esperienze che vive a partire dal suo corpo, poiché tutto parte dal corpo, per quanto riguarda lo sviluppo della sua vita psichica. A partire da queste pulsioni, elaborerà un sistema di rappresentazioni psichiche che permetterà di integrarle attraverso diverse tappe al fine di pervenire progressivamente all’alterità sessuale. È grazie, fra le altre cose, alla bisessualità psichica (una nozione spesso mal compresa) che il bambino prima e l’adolescente poi interiorizzeranno la persona dell’altro sesso, cosa che gli permette l’accettazione dell’altro sesso e l’accesso ad esso. Persone che si fissano in pratiche bisessuali hanno spesso fallito, in parte o completamente, questo passaggio. Nello stesso modo in cui persone transessuali s’immaginano, a volte con molte sofferenze, che la natura si è sbagliata dando loro un corpo nel quale esse non si riconoscono. Non è la natura che si è sbagliata, cosa che presupporrebbe una visione dualista dove il corpo è opposto allo spirito, ma è soprattutto il soggetto che non è riuscito ad accettare e a interiorizzare il suo proprio corpo in seguito a problemi di identificazione inconscia. Questo significa che, a differenza del mondo animale, le pulsioni sessuali umane presentano una relativa plasticità e che possono essere elaborate e armonizzate nella vita psichica più o meno bene. In conclusione, le pulsioni sono l’oggetto di un lavoro interno che, se tutto va per il meglio, si articola nella personalità con l’accettazione intima dell’altro sesso e una reale attrazione verso di esso. Allorché il soggetto si fissa su una pulsione sessuale come quella della curiosità nei riguardi del suo proprio sesso (stadio fallico) o su di una identificazione primaria alla persona identica a lui, si verifica il rischio di indirizzarsi verso l’omosessualità. Si osserva tuttavia anche il caso di persone che hanno vissuto nel corso della loro esistenza una tappa di pratiche omosessuali, finalizzate a confortare la loro identità, per indirizzarsi in seguito verso l’attrazione per le persone del sesso opposto. Possono esserci origini psichiche diverse e varie dell’omosessualità, che dipendono dalle rappresentazioni pulsionali del soggetto. È vero che le condizioni ambientali della società odierna sono molto narcisistiche, perciò la cultura attuale non sempre facilita le operazioni necessarie alla maturazione affettiva che permette di iscriversi nell’alterità sessuale. Quanto alla questione dell’omofobia, sulla quale torneremo, non è un argomento serio! È uno slogan inventato dai militanti per intimidire e colpevolizzare gli altri rimproverando loro di avere paura dell’omosessualità. Che idea! Chi ne ha paura? Questo modo di maneggiare l’isterizzazione della paura incollando il termine “fobia” a diverse parole per designare un nemico potenziale è certamente un sintomo paranoico di un disturbo identitario. Siamo in piena identificazione proiettiva quando dei militanti attribuiscono agli altri quella che non è altro che la loro propria paura delle persone dell’altro sesso. È una forma di terrorismo intellettuale che vuole impedirci di riflettere su che cosa sia l’omosessualità e sulle conseguenze di voler organizzare la società in funzione di essa. Ancora peggio, si creano una polizia del pensiero e una censura per obbligare tutti a pensare come vogliono i gruppi di militanti. Sotto questo aspetto il liberalismo va a braccetto col marxismo, nel momento in cui come esso vuole instaurare una repressione quasi giudiziaria sul pensiero e sulla sua espressione. Ci vogliono imporre delle nuove norme che sono più oppressive e limitative della libertà che non la nostra riflessione antropologica e i nostri riferimenti morali. I quali invece risvegliano e rispettano la libertà della persona.
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A quelli che sostengono che la legalizzazione del matrimonio fra persone dello stesso sesso danneggerebbe la società, viene risposto che 1) l’Antica Grecia permetteva l’omosessualità e la pedofilia nella vita privata, e questo non causava danni alla società; 2) non fa nessun male alla società istituire il matrimonio fra persone dello stesso sesso, come dimostra il fatto che le legislazioni sono già evolute in questa direzione in molti paesi, dall’Europa del Nord all’America. Lei cosa risponde?
Non ha senso il raffronto con la Grecia antica, perché i contesti sono diversi. L’omosessualità è sempre esistita ed esisterà sempre. Nella storia ha assunto forme diverse e riguarda la vita privata. Non ha senso creare delle istituzioni a partire da essa come si vuole fare oggi con la coppia, il matrimonio e la famiglia. In questo modo si crea un disturbo dannoso per la società, facendola entrare nella confusione dei sessi e della filiazione, e nella negazione della differenza sessuale. È falso sostenere che la Grecia antica permetteva l’omosessualità e la pedofilia nel senso in cui le intendiamo noi oggi. L’una e l’altra erano relative a certe condizioni. È tuttavia dimostrato che le nozioni di “eterosessuale” e di “omosessuale” non esistevano all’epoca, soltanto erano riconosciute le qualità: la bellezza della persona che si desiderava e l’attrazione nei suoi confronti. In tal senso potevano svilupparsi relazioni di questo tipo, in particolare fra uomini che pure erano sposati e padri di famiglia. Ma non se ne faceva un principio né un’esigenza sociale iscritta nella legge civile, che regolava solamente la coppia formata da un uomo e da una donna.
Nell’Antichità greco-romana il “matrimonio” omosessuale e l’adozione di figli non sono mai stati oggetto di rivendicazione. Nella letteratura vengono solamente descritti riti di passaggio di giovani guerrieri, in particolare presso i galli e presso i greci, sotto la direzione di adulti maschi allo scopo di creare dei buoni soldati (vedi Marrou/Rouche, Histoire de l’éducation). Così Plutarco nella sua Vita di Pelopida non ha mancato di esaltare il coraggio fisico della legione tebana, composta da 300 amanti omosessuali che perirono tutti nella battaglia di Cheronea (338 a.C.) per non apparire indegni ciascuno del suo amante. Ma nessuno di loro, ripeto, pretendeva il matrimonio e l’adozione di bambini, per la semplice ragione che attraverso i riti di iniziazione avevano generato degli uomini e dei guerrieri, una cosa di cui le donne non erano capaci. Questa omosessualità rituale era un modo di regolazione della vita adulta per formare degli uomini che venivano aperti alla loro mascolinità, fino al punto di avere delle relazioni intime con loro. E la pedofilia, in quanto istituzione pedagogica, era una fase provvisoria prima e durante la pubertà che iniziava il ragazzo alla sua virilità ed era un modo di farlo uscire dal mondo delle donne. Ma questa fase era transitoria e non doveva durare. Se essa continuava, le leggi di Atene tolleravano, ma a volte anche sanzionavano la pedofilia e l’omosessualità, ed è per questo che Socrate è stato condannato. La riprovazione generale, che si esprimeva anche attraverso il disprezzo e l’irrisione, era a volte sanzionata con una condanna legale. A Roma l’omosessualità era relativamente tollerata nella relazione schiavo-padrone, poiché si trattava di una relazione di dominazione che non era accettata fra cittadini romani. Ma anche in questo caso, Seneca e il suo atleta di servizio erano ridicolizzati, una volta trascorso il tempo dell’iniziazione del giovane adulto. In realtà queste pratiche erano, anche là, talvolta represse e tal altra tollerate. Siamo passati da una forma di omosessualità e di pedofilia che erano dei riti di iniziazione per liberare il ragazzo e a volta la ragazza dall’universo materno, a una rivendicazione sociale che vuole iscriverla nella legge e formare una «coppia» e una «famiglia». Ciò che era impensabile e che lo rimane.
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, non è perché qualche paese autorizza il matrimonio e l’adozione da parte di persone omosessuali che ciò non fa più problema. Al contrario, il fatto di stravolgere il senso del matrimonio è una negazione della differenza sessuale e una grossa trasgressione che altera il legame sociale. Ciò ha per conseguenza di rendere la legge civile meno credibile e meno rispettabile, e i responsabili politici meno stimabili perché la legge non si fonda più su delle realtà oggettive ma su delle esigenze soggettive; cosa che accentua la violenza nella società. Non bisogna trascurare il fatto che il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso è una vera aggressione, per non dire uno stupro, di ciò che il matrimonio rappresenta. È un modo di disprezzare i cittadini e il bene comune dell’umanità riguardo all’alleanza fra un uomo e una donna.
Secondo studi seri effettuati negli Usa su una larga platea di soggetti, e non di natura militante come quelli realizzati da associazioni gay, i risultati indicano che i figli che vivono con degli adulti omosessuali presentano diversi disturbi psichici come l’ansietà, difficoltà relazionali coi loro pari, problemi di concentrazione e soprattutto soffrono una contraddizione fra l’esercizio della sessualità di questi adulti e l’origine del loro concepimento e della loro nascita. A lungo termine, essi provano un profondo malessere perché manca loro sia la dimensione materna, sia la dimensione paterna, il che rappresenta un costo psichico decisivo rispetto alla necessità di unificarsi e trovare la coerenza del proprio sé. Non basta nascondere questi problemi attraverso l’idea puramente sentimentale che «l’importante è amare e sapersi amati». Qui si tratta di un amore che non è della stessa natura di quello che c’è fra un padre e una madre. Il bambino ha bisogno di essere collocato nelle condizioni relazionali che sono quelle del rapporto fra un uomo e una donna, il che non avviene nel caso dell’omosessualità. La relazione in forma specchiata fra il sé e il simile non ha niente in comune con una relazione fondata sull’alterità sessuale. La società sbaglia strada imboccando questa direzione per quanto riguarda questi bambini che saranno vittime della ricerca di gratificazione di adulti che vogliono apparire uguali agli altri, mentre non si trovano nelle condizioni di essere veri genitori. È solo un modo per sentirsi accettati dagli altri, nel momento in cui alcuni di loro non riescono ad accettarsi veramente. La società gioca all’apprendista stregone sulle spalle dei bambini e delle generazioni future, aprendo loro un avvenire fatto di oscurità e di incoerenza. D’altra parte è per queste ragioni che le offerte di adozioni nel mondo crollano, poiché la maggior parte dei paesi che offrivano questa possibilità a uomini e donne sposati, rifiutano attualmente di affidare dei bambini a cittadini provenienti da paesi che hanno legalizzato il matrimonio fra persone dello stesso sesso.


Lei definisce la nostra una “democrazia emotiva”? Quali evoluzioni prevede per essa?
 
Effettivamente ci troviamo in una “democrazia emotiva” caratterizzata dalla manipolazione della comunicazione politica, che può condizionare le folle tanto più facilmente in quanto le nostre società mancano di radicamento culturale e morale. L’identificazione delle masse coi messaggi dei mass-media è impressionante e non manca di diventare inquietante: certi media come la televisione sono diventati dei cervelli ausiliari che prendono il potere sullo spirito della gente. Ciascuno reagisce emotivamente ripetendo gli stessi clichés sviluppati dai media senza mai dimostrarsi capace di pensieri personali.
Va aggiunto che le rivendicazioni dei cittadini diventano sempre più soggettive in nome dei “diritti individuali” e degli interessi particolari. Al punto che i responsabili politici si ispirano sempre più ai costumi vigenti, ai fantasmi individuali e a quelli sessuali per legiferare, mentre non lo fanno più in funzione del bene comune e delle necessità oggettive. Ora, un fantasma riflette sempre una rappresentazione e un desiderio illusori, che rinviano alle complessità dell’inconscio e non ad un bisogno reale. Noi ci troviamo in un sistema che risponde alle emozioni primarie spesso tradotte attraverso dei sondaggi e dei movimenti di massa che ci estraniano dalla ragione delle cose. Più la democrazia diventa emotiva (soprattutto grazie all’aiuto della televisione che modella le immagini mentali) e più essa diventa totalitaria, ovvero lo spazio della libertà di pensare e di agire si riduce. Così una rappresentazione teatrale o un film, che non sono altro che produzioni immaginarie senza un rapporto autentico col reale, possono provocare sommovimenti in una società. L’arte della manipolazione raggiunge qui il suo culmine. È interessante vedere come, a partire dal dramma dell’Aids, si è voluto per anni dare un’immagine sempre più idealizzata dell’omosessualità, attraverso diverse sceneggiature messe in scena a teatro, al cinema, nelle serie televisive e nei romanzi. Il nemico della democrazia è l’emozione senza riflessione razionale. La democrazia si dà le apparenze della libertà di espressione, oggi da tutti rivendicata, ma lo fa per meglio metterle la museruola sulla base del pensiero dominante. Siamo liberi per giustificare e diffondere le idee che corrispondono allo spirito del tempo, ma il primo che assume un atteggiamento critico è sistematicamente privato della parola. Per esempio il dibattito sull’omosessualità diventa sempre più difficile, perché molto spesso vengono esclusi dalla discussione tutti coloro che non pensano secondo i clichés dominanti. Ci sono specialisti che non osano più esprimersi su queste questioni per paura del linciaggio mediatico, del processo per reato d’opinione e delle voci calunniose. A causa di ciò scambi più autentici hanno talvolta luogo dentro a universi catacombali come le conferenze pubbliche e le reti sociali, dove la censura non si impone e al di fuori dei media tradizionali, che filtrano e sceneggiano gli avvenimenti. Allo stesso modo diventa sempre più malsano avere dei rappresentanti politici che, per mantenersi al potere, finiscono per rinunciare alle loro convinzioni e diventano dipendenti dai costumi e dalle ideologie alla moda, senza esercitare il minimo discernimento intellettuale e morale. Essi navigano sulle idee del momento senza disporre di un sapere solido e di una vera colonna vertebrale del pensiero. A causa di ciò, prima dicono una cosa e qualche anno dopo affermano il contrario. Le nostre democrazie dovrebbero fondarsi di più su eletti della società civile che hanno una visione chiara del bene comune, e non su dei professionisti della politica che navigano a vista per legiferare come fanno oggi, secondo i costumi in voga. Bisognerebbe senz’altro non concedere più di due mandati quinquennali a ciascun eletto.

Nel suo ultimo libro lei scrive che «le personalità contemporanee sono povere e prive di risorse a causa di una carenza nell’educazione». Ma sostiene anche che non basta educare bensì occorre opporsi alle leggi ingiuste come hanno fatto i sostenitori della Manif Pour Tous in Francia. Perché?
Le personalità contemporanee sono marchiate da una crisi dell’interiorità e della trasmissione. Noi produciamo dei soggetti relativamente impulsivi che non hanno radicamento nella storia e li illudiamo che noi non sappiamo niente, che non abbiamo imparato niente e che bisogna ripartire da zero. Li rendiamo fragili e li facciamo regredire facendo loro credere, nella visione dell’onnipotenza narcisistica, che si può creare tutto, compreso il sesso che sarebbe lasciato alla libera scelta di ciascuno. Ora, l’identità sessuale non si crea: si riceve. Essa deve essere accettata e integrata nella propria vita psichica, non si può immaginare che la si possa costruire o che ci si possa dare un’altra identità secondo dei desideri immaginari. Nello stesso modo, l’educazione che lascia il ragazzo abbandonato a se stesso per scoprire i saperi attraverso i mezzi tecnologici contemporanei non lo aiuta a imparare sviluppando la sua memoria. Gli adulti talvolta fanno fatica a presentarsi come adulti di fronte a dei bambini e a degli adolescenti e ad esercitare l’autorità per iniziarli al senso delle cose e dare loro il senso dei limiti che permettono lo sviluppo della libertà. L’alcolizzazione dei giovani, l’uso di droghe e le dipendenze di tutti i tipi, a cominciare dai telefoni cellulari e internet, sono il sintomo di personalità che non sono psicologicamente autonome e che mancano di risorse interiori. Non educate al discernimento, esse funzionano in base al ritmo delle emozioni e dei clichés, in particolare sui problemi della società come quelli del rifiuto del matrimonio, della banalizzazione del divorzio e dell’omosessualità. Sono stato uno dei primi a dirlo negli anni Novanta e nel primo decennio del nuovo secolo, e ho constatato che i miei studi e i miei concetti sono stati ripresi largamente dai membri della Manif pour tous. Sì, bisogna opporsi alle leggi ingiuste perché esse sono contrarie al bene comune. Così per esempio voler sposare due persone dello stesso sesso è una corruzione del senso del matrimonio. Quest’ultimo è anzitutto il quadro dell’alleanza fra l’uomo e la donna in base all’alleanza dei sessi. Non si tratta anzitutto di una questione religiosa, ma di una questione antropologica che non è nella disponibilità del legislatore, poiché la coppia coniugale e la famiglia precedono lo Stato. Il matrimonio è riservato all’uomo e alla donna perché permette di associare e di riconoscere giuridicamente l’alleanza che si contrae fra due persone di sesso differente. Il matrimonio non è il riconoscimento dei sentimenti fra due persone, altrimenti ci si potrebbe sposare in qualunque condizione, ma la constatazione e la registrazione della volontà di un uomo e di una donna di fondare una comunità di vita e una famiglia. Non c’è alcuna dimensione coniugale e familiare nell’omosessualità. Assistiamo al furto degli attributi e dei simboli che appartengono all’unione di un uomo e di una donna per estenderli a un duo di persone dello stesso sesso, cosa che è inappropriata e che rappresenta un’illusione nel senso psicanalitico del termine.
Pare di capire che lei consideri un errore accettare leggi “di compromesso” come le unioni civili, che in Francia si chiamano Pacs. Perché?
I Pacs sono un’ipocrisia e un errore nel senso che si tratta di un matrimonio di serie B dotato della maggior parte dei benefici del matrimonio, eccetto il riconoscimento automatico della filiazione e dell’adozione. L’opinione pubblica è stata convinta ad accettare i Pacs come un male minore, mentre essi implicavano l’avvento prossimo del matrimonio fra due persone dello stesso sesso. Per contro, si sarebbe potuto prevedere nella legge un “Contratto di associazione di beni” aperto a tutti i cittadini senza distinzione, con certi vantaggi fiscali; soprattutto in materia di possesso di beni e di eredità.
Coi Pacs si è cominciato a confondere la realtà del matrimonio, cosa che ci ha portato oggi alla confusione e alla svalutazione del matrimonio fondato sulla differenza dei sessi. I Pacs sono fatti su misura per l’instabilità relazionale e per l’immaturità affettiva dell’epoca attuale. Si può anche ipotizzare che a partire dal momento in cui il matrimonio è aperto a persone omosessuali, si rischia che la gente non voglia più sposarsi perché l’immagine del matrimonio è così confusa e contraddittoria. Di più, è interessante notare che nella maggior parte dei paesi che hanno permesso il matrimonio fra persone dello stesso sesso, questi matrimoni diminuiscono anno dopo anno, fino a diventare inesistenti.
Detto in altre parole, abbiamo sconvolto il codice civile per far scomparire i termini uomo e donna, sposo e sposa, padre e madre, snaturando il matrimonio nell’interesse di un’infima minoranza di persone ed ecco che in questo campo di rovine della bella realtà del matrimonio ci troviamo nella confusione dei sentimenti e delle identità che hanno delle ripercussioni sulla vita affettiva e sessuale delle giovani generazioni. Da una parte fanno fatica ad accedere al senso dell’impegno matrimoniale, dall’altra sviluppano una vita affettiva e sessuale frammentata, sempre più dipendente da pulsioni sparse, in nome del primato degli orientamenti sessuali. È anche il caso della pornografia: anziché includere la vita sessuale nella dimensione relazionale della vita affettiva, si persegue un condizionamento pavloviano molto inquietante, nel quale l’erotismo personale scompare e bisogna semplicemente ripetere quello che si è visto, dimostrando un’attitudine mimetica primitiva. Per esempio il film “Cinquanta sfumature di grigio” incita le giovani donne a tornare a casa e a ripetere le stesse scene pornografiche (è quello che alcune dicono all’uscita dal cinema). Allo stesso modo, i Pacs e il matrimonio fra persone dello stesso sesso hanno un impatto sulla rappresentazione sociale della sessualità.
Cosa possiamo fare per i bambini, ai quali in Occidente si vuole imporre la teoria del gender sin dalla più tenera età? Cioè l’accettazione dell’indifferenza sessuale e del fatto che al posto di un padre e di una madre possano esserci due padri o due madri, e che tutto questo debba essere considerato giusto, democratico ed egalitario? Cosa si può fare, considerato che ovunque si sta cercando di istituire delle pene per quanti rifiutano questa ideologia? In Germania si rischia la prigione se non si mandano i figli ai corsi di educazione sessuale centrati sulla teoria del gender, in Italia sta per essere approvata una legge che punirà, in nome della lotta contro l’omofobia, tutti coloro che si esprimono pubblicamente in base alla terminologia della famiglia tradizionale e in base alle categorie della differenza dei sessi.
Bisogna proteggere i bambini e rifiutare che vengano sottoposti a un condizionamento, perché non esistono la famiglia tradizionale e la famiglia moderna o nuova, ma soltanto la famiglia costruita attorno a un padre e a una madre. Altrimenti smarriamo la razionalità e il senso della realtà. Effettivamente a partire dalla scuola materna si insegna ai bambini che esistono varie forme di famiglia. È successo che una bambina di tre anni, uscendo dalla scuola, abbia chiesto a sua madre perché lei non convivesse con una donna, perché aveva appena sentito dire che si possono avere due padri o due madri. Una cosa che è una menzogna sociale e un errore strutturale e antropologico. Un sistema ideologico nel quale si confonde ciò che è una famiglia fondata da un uomo e da una donna con diverse situazioni particolari che non partecipano alla definizione di famiglia. Ma che si vorrebbero trasformare in realtà normate alla pari delle altre. Questo è uno degli effetti della teoria del gender che vuole mettere tutti su di un piano di uguaglianza in nome dell’identità di genere che ciascuno si dà da sé e degli orientamenti sessuali. Qui ci troviamo al cuore di un totalitarismo che si manifesta sempre con lo stesso metodo, come nel caso del marxismo:
  1. Si comincia col sottrarre i bambini all’influenza dei genitori per inculcare loro una visione nuova della sessualità e della famiglia.
  2. Li si costringe a pensare al di fuori dalla realtà prevalente (la grande maggioranza delle persone vivono e si organizzano nella differenza sessuale e attorno alla differenza sessuale).
  3. Si introducono delle leggi col pretesto di proteggere delle minoranze.
  4. Si approfitta di fatti veri o inesistenti per istituire una legislazione repressiva.
  5. Si applica una repressione giudiziaria che corrisponde a una vera polizia del pensiero.
  6. Si crea così la paura e si ottiene che i cittadini pensino sulla base di “buone” idee e agiscono sulla base di “buone” pratiche. Altrimenti vanno in prigione.
Queste idee cominciano ad essere interiorizzate da cristiani che non capiscono la posta in gioco. Quando si sveglieranno, sarà troppo tardi. Abbiamo sperimentato questo errore di valutazione col marxismo, che ha influenzato certi membri della Chiesa, adesso rifacciamo lo stesso errore con l’ideologia del gender e con l’omosessualità.
In realtà ciò che in questione non è la persona dell’omosessuale, che deve essere sempre rispettata, ma il fatto di voler fare dell’omosessualità un principio politico a partire dal quale si ridefinisce la società attraverso la coppia, il matrimonio e la famiglia. Questa è una contraddizione, poiché l’omosessualità non è alla base di queste realtà e non può essere all’origine di istituzioni di cui la società ha bisogno per durare nella storia.
Bisogna porsi la domanda in modo realistico: a partire da quale tipo di sessualità la società si fonda, si organizza, dura nel tempo e contribuisce alla sua storia?
In occasione del suo viaggio apostolico in Asia, papa Francesco ha detto il 16 gennaio 2015, in occasione dell’incontro con le famiglie a Manila: «C’è un colonialismo ideologico che cerca di distruggere la famiglia. Ogni minaccia contro la famiglia è una minaccia contro la società». In tal modo ha messo in discussione i concetti di genere che mirano all’indistinzione sessuale e il matrimonio fra persone dello stesso sesso, che non ha niente a che fare col senso della vita coniugale e familiare. È per questo che non si può trattare la questione dell’omosessualità nello stesso modo sul piano individuale e su quello sociale, imponendo a partire da essa delle istituzioni sociali di cui essa non può essere all’origine, come la vita coniugale e familiare.
Traduzione di Rodolfo Casadei – Una parte di questa intervista è stata pubblicata sul numero 9/2015 del settimanale Tempi