martedì 24 marzo 2015

Quella violenza psicologica sui padri separati







Roma, 20 mar – I padri sono quelli che escono maggiormente indeboliti dalla scissione della coppia e dalla conseguente involuzione del tenore di vita. Con la separazione, spesso, si vedono portare via la casa, i figli e lo stipendio. Spesso, non potendo provvedere a una nuova casa, si trovano costretti, nella migliore delle ipotesi, a tornare nella casa di origine con i propri genitori, mentre altri finiscono direttamente in macchina o nei centri di accoglienza.
 
Come se non bastasse, con la separazione, il diritto alla genitorialità viene trasformato in un “diritto di visita” limitato, nella maggior parte dei casi a due pomeriggi a settimana e a due weekend al mese: i rapporti con i figli vengono così privati di qualsiasi spontaneità, gravemente limitati nei tempi e nei modi imposti per sentenza e tutto ciò costituisce una inibizione violenta tanto dei più forti istinti naturali quanto delle sovrastrutture culturali. 

I padri subiscono, in questo senso, una violenza psicologico-relazionale generata sia dall’interruzione giuridica delle relazioni e dei legami genitoriali che dalla campagna denigratoria che un genitore compie, tramite i figli, ai danni dell’altro genitore. Nello specifico, non si prende mai in considerazione la disperazione originata dalla perdita e/o dalla mutilazione della relazione genitori-figli, l’impossibilità di condividere i compiti di cura e educazione e l’esclusione forzata da una partecipazione concreta al processo di crescita. La violenza psicologico-relazionale si aggrava quando il già limitante “diritto di visita” viene subordinato al volere del genitore che esercita un reale potere sulla prole, quando cioè il genitore affidatario (che nella quasi totalità dei casi è la madre) ostacola o impedisce gli incontri dell’altro con i figli. 

Questa esclusione, la cronica limitazione a un ruolo subalterno rispetto all’altro genitore, la mortificazione, l’inefficacia delle contromisure giuridiche e lo status di “intruso” che ne derivano sono le molle che innescano una spirale di disperazione nel padre che il nostro sistema non è in grado né di prevenire né di contenere.
C’è un paradosso di fondo perché un genitore non separato che volesse trascorrere con il proprio figlio un week end ogni 15 giorni, 6 ore nei pomeriggi infrasettimanali e una settimana l’inverno e due l’estate, sarebbe considerato da psicologi, avvocati, assistenti sociali e dai periti, un genitore trascurante.

Un genitore separato che non si accontenta di trascorrere con il proprio figlio un week end ogni 15 giorni, 6 ore nei pomeriggi infrasettimanali e una settimana l’inverno e due l’estate, è considerato un genitore che non vuole adempiere a quanto stabilito dal giudice, dunque conflittuale, potenzialmente abusante e inadempiente. Siamo di fronte a un sistema paradossale e schizofrenico che ci obbliga a concepire l’essere padre in modi paradossali e criminalizzanti. Il ruolo del padre è spesso circoscritto all’erogazione di fondi dunque, secondo questa visione, basterebbe una “giocata” fortunata e i bambini potrebbero anche diventare orfani tanto la tranquillità economica è garantita e all’educazione provvede il genitore superstite. 

Inoltre, durante la separazione, sono molto frequenti accuse strumentali di maltrattamenti e false denunce di abusi sessuali nei confronti delle stesse ex mogli o ancora peggio sui figli che segneranno per sempre la vita dell’ex coniuge che dovrà convivere con una delle accuse più infamanti come quella dell’abuso sessuale sui minori. Tramite queste false accuse le donne hanno la garanzia di ottenere l’interruzione immediata dei rapporti con i figli, che avviene spesso attraverso la fuga nei centri Anti-violenza. Questi ultimi, per quanto siano una conquista di civiltà e un punto di riferimento per la lotta contro la violenza sulle donne si basano però su una convinzione illogica: come può un’istituzione di così grande civiltà non contemplare in sé la possibilità di essere soggetto/oggetto di errori? Spesso questi centri sono strumentalizzati, ne viene fatto un uso fraudolento e vengono ridotti a un mero strumento per ottenere benefici di carattere patrimoniale e/o relazionale.

E i padri? Come verranno risarciti per questa afflizione ingiustamente subita? Chi sosterrà il loro percorso relazionale con i figli? Chi provvederà al loro sostegno psicologico ed economico? Nessuno. L’uomo è a prescindere cattivo per non essere stato un buon marito e questo si trasforma automaticamente in non essere un buon padre. Una possibile soluzione al problema sarebbe superare la logica sterile del castigo perché in questo ambito particolare, non solo il castigo priverebbe i figli del genitore ma coinvolgerebbe anche loro nella violenza psicologica relazionale.

La lotta tra sessi, e il continuo antagonismo tra generi e ruoli ha alterato l’equilibrio sociale, dinamico e giuridico tra maschile e femminile provocando inevitabilmente un disagio che coinvolge più aspetti. La logica giuridica, sotto la spinta del femminismo, ha ecceduto nella protezione dei cosiddetti “soggetti deboli”, capovolgendo il problema senza però risolverlo. La necessità di attribuire più diritti ad uno rispetto che a un altro individuo, e gruppi di individui, ha eliminato la condizione di soggetto debole sostituendola però con altri soggetti deboli.
Marta Stentella

Fonte: 
http://www.ilprimatonazionale.it/editoriale/quella-violenza-psicologica-sui-padri-separati-19401/
 

1 commento:

  1. Stupisce che a parlare di questa cosa siano sempre di più donne.

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