martedì 21 maggio 2013

Crimine demolire la famiglia - prolusioni inamidate



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Nuova prolusione del card. Bagnasco, su temi cari alla comunità cattolica e cristiana: famiglia, vita, eutanasia, anche con citazioni giuridiche su recenti raccomandazioni della corte di Strasburgo sui diritti dell’uomo, sui movimenti per la vita
Cito da “TEMPI”che titola:
«La famiglia è un bene universale, umiliarla o indebolirla con surrogati è un crimine»
 e da “AVVENIRE”
che titola: “Crimine demolire la famiglia”

Così, ha proseguito Bagnasco «la famiglia – patrimonio incomparabile dell’umanità – che ancora una volta ha dato prova di sé rivelandosi il primo e principale presidio non solo della vita, ma anche di energie morali e di tenuta sociale ed economica: fino a quando potrà resistere senza politiche  consistenti, incisive e immediate? Essa è un bene universale e demolirla è un crimine; affonda le sue radici nell’essere dell’uomo e della donna, e i figli sono soggetto di diritto da cui nessuno può prescindere. La famiglia non può essere umiliata e indebolita da rappresentazioni similari che in modo felpato costituiscono un vulnus progressivo alla sua specifica identità, e che non sono necessarie per tutelare diritti individuali in larga misura già garantiti dall’ordinamento. ».

Altri temi citati dal card. Bagnasco (riportati da Avvenire) sono: l’eugenetica, la sperimentazione embrionale, il gioco d’azzardo. Politically correct, non poteva mancare la violenza sulla donne.
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Come nella scorsa prolusione (qui), tra i temi ne manca uno, fondamentale,  che potrebbe fornire una spiegazione alternativa alla attuale crisi della famiglia. E'un tema mancante, ora come allora.  http://comeulisse.blogspot.it/2013/01/io-non-ho-perdonato.html L'attenzione dei cattolici è tutta verso  il modernismo francese e sul cosiddetto "matrimonio omosessuale".

Due considerazioni. 
La prima è constatare che l'apparato ecclesiastico continua a compiere l’errore di non comprendere i meccanismi giuridici (e le prassi) delle separazioni coniugali tra le cause primarie che minano oggi la famiglia, forse con la presunzione e la convinzione che il fenomeno delle separazioni sia frutto di una “scelta” dei cristiani adulti, che siano un prodotto della superficialità o della noncuranza dei genitori! O che esse siano statisticamente poco rappresentative, rispetto ad altri fattori "disgreganti".

La realtà delle cose dimostra che i sistemi giuridici con cui vengono celebrate le separazioni coniugali sono una frode, scientifica e giuridica. I sistemi giuridici attuali si rivelano un crimine verso i diritti dell'uomo (sentenza corte Strasburgo
La realtà delle cose dimostra che per i figli degli italiani e per  la maggior parte dei padri italiani le separazioni sono subìte e diventano una condanna a una vita affettivamente meno ricca, economicamente più precaria, giuridicamente ingiusta. 

Non aprire gli occhi di fronte a 90000 casi annui di separazione (con una media di 1.4 figli per coppia si giunge a 120000 bambini che vengono coinvolti nella macchina delle separazioni) significa negare la realtà di 12000 figli italiani privati di un genitore in vita. Significa autorizzare che si continuino a perpetrare le ingiustizie. O i crimini, come riconosciuto anche dalla stessa corte di Strasburgo (che Bagnasco cita, ma per altro), che nel 2013 ha condannato proprio il “modus operandi” italiano nelle separazioni coniugali (sentenza corte Strasburgo).  
Un modus operandi che genera figli orfani di genitori in vita (specie di padri in vita).





La seconda è constatare che l'approccio italiano alla famiglia, rispetto a quanto accade oltralpe, è ancora molto "inamidato", per usare un'espressione di Papa Bergoglio. I toni sono diversi.
Un esempio? Mons. André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, presidente della Conferenza episcopale francese, alla festa dell’Assunta del 2012 formulò la seguente preghiera::

"Per i bambini e i giovani; che tutti aiutiamo ciascuno a scoprire il proprio cammino per progredire verso la felicità; che cessino di essere oggetto dei desideri e dei conflitti degli adulti per godere pienamente dell'amore di un padre e di una madre".(riferimento web)

 In Italia chi pronuncerà per primo queste parole sarà scomunicato dalla totalità dei benpensanti della Politica, ministero delle “pari opportunità” in testa, inzuppata di ideologia, femminismo, luoghi comuni.

Pronunciarle è un rischio. Come scrive Michel Schooyans:
“La Chiesa deve diventare un elemento di disturbo con le sue parole profetiche nei confronti della società. Essa deve costantemente vigilare affinché il messaggio sociale non venga manipolato o strumentalizzato a favore di qualsiasi ideologia”.

Certo, dire certe frasi sulle separazioni coniugali italiane e sui conflitti strumentali mossi per escludere uno dei genitori dalla cura filiale è difficile. Si stenta proprio a far uscire la voce.

Come scrive Schooyans (p.159 “Gli Idoli della Modernità” ed. ESD):
«Il parlare di di queste cose è percepito come qualcosa di sconveniente perché vi sono alcuni tra i presenti tra gli amici, all’interno della famiglia, nel pubblico, nell’assemblea domenicale che sono personalmente e direttamente coinvolti in queste politiche. Ne consegue che si ricorre a un linguaggio “preconfezionato” e così i cristiani invece che testimoniare con coraggio il loro amore per la vita, si ritrovano paralizzati

Certo, Schooyans è lontano, sia fisicamente sia nel pensiero.  Per molti è più comodo  essere cristiani “inamidati”, con buona pace di papa Bergoglio.

domenica 19 maggio 2013

La Corte di Appello di Brescia colloca il bambino di Cittadella dal padre. Affidamento ai servizi - Associazione di Associazioni Nazionali per la tutela dei Minori

La Corte di Appello di Brescia colloca il bambino di Cittadella dal padre. Affidamento ai servizi - Associazione di Associazioni Nazionali per la tutela dei Minori

La Corte di Appello di Brescia colloca il bambino di Cittadella dal padre. Affidamento ai servizi

La Corte di Appello di Brescia, con decisione recentissima, ri-colloca il piccolo Leonardo dal padre, affidando il minore ai servizi sociali. Certamente, il comportamento tenuto dalla madre immediatamente dopo la sentenza della Cassazione - decisione senza dubbio "politica", tanto da essere immediatamente "sorvolata" dalla corte di appello - non è stato intelligente: il padre non lo vedeva più, neanche per le feste pasquali. 
Leggendo i passaggi fondamentali del decreto (versione integrale in allegato a margine dell'articolo) ci si rende conto che la Cassazione, con la precedente decisione di accogliere il reclamo della madre, ha voluto forzare la mano, interrompendo di fatto e di diritto un percorso che stava cominciando a dare i suoi frutti.
Relativamente al dibattito giurisprudenziale sulla PAS che la Suprema Corte ha scatenato, la Corte di Appello eleva il livello delle fonti, e cita testualmente "La SINPIA, Società italiana di Neuro psichiatria Infantile, (che) la riconosce sin dal 2007; la PAS essa risulta essere inserita nel DSM IV nella sezione problemi relazionali genitore-bambino; molte sono le pubblicazioni che riguardano l'alienazione genitoriale ( doc 8 ) . Si deve aggiungere che anche la corte di cassazione con la sentenza n.5847/12 pubblicata 1'8.3.13 non ha posto in discussione la diagnosi di PAS posta a fondamento del provvedimento impugnato. Il fatto che altri esperti neghino il fondamento scientifico di tale sindrome non significa che essa non possa essere utilizzata quanto meno per individuare un problema relazionale molto frequente in situazione di separazione dei genitori, se non come una propria e vera malattia".
Dice la Corte di Appello: "il provvedimento della corte territoriale che è stato cassato, comportante l'allontanamento del minore dalla madre e dall'ambiente materno, (aveva) consentito al bambino di liberarsi dalla sua condizione di avversione nei confronti del padre. Ne ha accettato la compagnia e finanche di trascorrere la notte con lui attraverso un graduale riavvicinamento. Questo cambiamento di comportamento sta a dimostrare che i soggetti in età evolutiva sono dotati di un alto grado di resilenzia, vale a dire sanno resistere alle condizioni della vita che li pone in difficoltà ed all'azione degli adulti che attraverso il loro conflitto li possono spingere ad allearsi con uno di loro e a rifiutare l'altro.
La -MADRE- , subito dopo la sentenza della corte di cassazione, ha prelevato il figlio dalla casa paterna, gli ha impedito di frequentare la scuola in cui era iscritto, ha tentato di ottenere l'iscrizione presso la scuola di °°°°, ha disatteso il programma del servizio sociale affidatario, ha impedito al figlio di trascorrere parte dei giorni festivi pasquali con il padre portandolo con sé in Toscana da alcuni parenti. In questa situazione i comportamenti che emergono da fatti obiettivi ed inconfutabili consentono di corroborare la prova del suo comportamento alienante e possessivo, nonostante i limiti imposti dal provvedimento del tribunale per i minorenni che ha rigettato la sua reintegra nella potestà ed ha confermato l'affidamento del bambino al servizio sociale.
Dalle sue dichiarazioni orali rese in udienza la -MADRE- risulta desiderosa di restituire al figlio " tutta la sua vita" e non solo la metà che è costituita nel suo rientro nella casa materna. L'altra metà a suo dire è costituita dall'ambiente scolastico ed amicale di °°°°. Nessuno spazio nel suo concetto di vita del figlio è riservato al rapporto con il padre, nonostante le preoccupazioni che asserisce di avere avuto per il rifiuto nei confronti dello stesso.
Di fronte a tale pervicacia nel comportamento materno non si ravvisano le garanzie che la predetta sappia far proseguire il figlio nel rapporto con il padre e non ponga nuovamente in atto ostacoli alla normalità del medesimo, facendo regredire il minore e ponendolo in posizione di grave rischio di disturbi della personalità, siano essi quelli che in campo scientifico vengono da parte degli esperti qualificati come PAS, siano gli agiti aggressivi che derivano dallo stato d'ansia rilevati dagli esperti dei Servizi Sociali.
Indipendemente dalla loro qualificazione dal punto di vista medico, la descrizione dei comportamenti del bambino sulla quale tutti hanno concordato consente di ritenere che i suoi agiti , se non ricomposti, porterebbero a disturbi che impedirebbero al figlio di crescere e sviluppare tutte le sue notevoli capacità intellettuali ed espressive. Non si tratta solo di conservare al bambino la bigenitorialità da intendersi come un patrimonio prezioso di cui i figli debbono poter disporre, ma di evitare che attraverso il rifiuto si vada strutturando una personalità deviante. Si tratta anche di preservare il bambino dal dolore perché le gravi manifestazioni di rifiuto emerse nel passato sono anche espressione di sofferenza.
Per tale ragione va confermato l'affidamento al servizio sociale per la predisposizione di un progetto di sostegno psicologico del bambino e di aiuto alla genitorialità in quanto solo attraverso l'abbassamento del conflitto della coppia si può sperare che il bambino acquisisca sicurezza e serenità. Poiché la madre non lo ha garantito in questo percorso, ma al contrario lo ha ostacolato, la predetta non può ritenersi essere il genitore più idoneo a favorire la crescita del bambino, per cui il collocamento principale dello stesso va disposto presso il padre che ne esercita la potestà.
 
 

Fonte: Redazione - testo del provvedimento tratto da www.http://mobbing-genitoriale.blogspot.it a cura del prof. Gaetano Giordano

Madre getta dal terzo piano i suoi bambini «L'ho fatto per il loro bene». Arrestata - Milano

Madre getta dal terzo piano i suoi bambini «L'ho fatto per il loro bene». Arrestata - Milano

Visto dall'alto, il tavolino sul quale sono caduti i bambini (Newpress)

Tragedia familiare sabato poco dopo mezzogiorno a Busto Arsizio: una madre 42enne, S. B., ha gettato i suoi due figli di 6 e di 3 anni dal balcone di casa, situato al terzo piano, con affaccio sul cortile interno. I piccoli hanno compiuto un volo di oltre 7 metri e sono atterrati su un tavolino sul terrazzo dei vicini del primo piano, che hanno chiamato l'ambulanza. Il bimbo di 6 anni ha riportato una frattura occipitale e una lesione a una vertebra, ed è stato ricoverato a Legnano. La bambina di 3 anni ha riportato una frattura al torace con versamento di sangue nel polmone, e si trova nell'ospedale di Busto Arsizio. Per entrambi la prognosi è riservata, ma non sarebbero in pericolo di vita. I medici sono ottimisti, in quanto la frattura alla vertebra del maschietto non avrebbe leso il midollo spinale; speranze anche per la bambina. Forse la presenza del tavolino in plastica proprio in quel punto ha in qualche modo miracolosamente attutito gli effetti della caduta di almeno uno dei due piccoli.

FERMATA - La madre è stata subito fermata. Italiana, sposata con un professionista, era stata in cura per disturbi legati alla depressione e solo una settimana fa era stata dimessa, dopo un mese di ricovero, dal reparto psichiatrico dell'ospedale di Busto Arsizio. Era in cura con psicofarmaci. La donna ha lanciato dal balcone prima la bambina e poi, a distanza di pochi istanti, anche il figlio maggiore: il vicino del primo piano ha visto precipitare la piccola, ha chiamato l'ambulanza e proprio in quell'istante ha visto cadere anche il fratellino. Una vicina ha raccontato che sentiva spesso la donna urlare contro i figli. Al momento del fatto il marito era uscito per fare la spesa. In casa c'era l'anziana madre della donna, che però in quel momento era impegnata a cucinare.
«PER IL LORO BENE» - La madre dei due bambini ha confessato di aver gettato i figli dal balcone. «L'ho fatto per il loro bene»: questa la frase che avrebbe detto al pm di Busto Arsizio, Mirko Monti, che l'ha interrogata. Ha anche raccontato che da tempo meditava questo gesto. Il magistrato ha convalidato l'arresto per duplice tentato omicidio. La donna è ora agli arresti domiciliari presso il reparto psichiatrico dell'ospedale di Busto Arsizio, lo stesso reparto dal quale era stata dimessa l'11 maggio scorso.
LA VICINA - «Pensava che i suoi figli non avessero un futuro, così mi ha detto». È la testimonianza raccolta da TgCom24 di una vicina di casa della donna. La testimone ha spiegato di essere andata in casa da lei subito dopo il fatto e fino all'arrivo del marito che, avvisato al telefono della tragedia, è corso immediatamente a casa. «Lei - racconta la testimone - pensa sempre che nessuno le voglia bene e via dicendo, le solite cose che dicono le persone. Ha cominciato a pensare così dopo la seconda gravidanza. Io continuavo a chiederle "Perché l'hai fatto, i bambini non c'entrano niente", e lei non rispondeva, sembrava in trance».

mercoledì 15 maggio 2013

Femminicidio e misandria

FOnte:  http://www.libertiamo.it/2013/05/14/ma-sul-femminicidio-si-sta-costruendo-una-campagna-misandrica/


- Ad ogni crimine violento compiuto da un immigrato c’è sempre chi prova a giocare la carta etnica, la carta della paura e della colpevolizzazione del diverso. È successo anche in questi giorni, dopo lo stupro a Vicenza di una ragazza ad opera di un ghanese e dopo la follia omicidia di un altro ghanese a Milano.
La politica mainstream e soprattutto quella progressista e di sinistra prendono sistematicamente le distanze da tali posizioni e chiedono che i delitti si puniscano in quanto tali, ma si evitino campagne allarmistiche e generalizzazioni razziste. Peccato, che negli stessi giorni in cui, da sinistra, si chiede – giustamente – di approcciare le problematiche della sicurezza in un’ottica rigorosamente “race blind”, al tempo stesso si lanci una campagna sul “femminicidio”, che “blind” non lo è per niente, ma che anzi è fortemente sessuata e generalizzante.
Si sostiene che la violenza non ha razza ed al tempo stesso si afferma che la violenza ha un sesso. Così se è sbagliato sottolineare che è un immigrato ad avere ucciso un italiano, è cosa buona e giusta rimarcare che è un uomo che ha ucciso una donna. Nell’overdose mediatica di questi giorni sul “femminicidio”, sono davvero pochi i giornalisti che hanno osato mettere in discussione la vulgata e le sue basi filosofiche e morali. Tra questi Vittorio Feltri sul Giornale e Marcello Adriano Mazzola e Fabrizio Tonello sui blog del Fatto Quotidiano. Onore al merito.
Ma c’è davvero questa “emergenza femminicidio” in Italia? Andiamo con ordine e cominciamo ad esaminare qualche dato. Per prima cosa, partiamo dalle statistiche delle Nazioni Unite e notiamo che l’Italia è uno dei paesi più sicuri al mondo per le donne. Lo è in termini assoluti, dato che tra le donne si registrano 0,5 vittime all’anno ogni 100.000 abitanti; e lo è in termini relativi rispetto agli uomini, dato che solo il 23,9% delle vittime di omicidio è di sesso femminile. Per fare un raffronto, le donne rappresentano il 49,6% delle vittime in Germania, il 49,1% delle vittime in Svizzera, il 34,3% in Francia ed il 33,9% nel Regno Unito.
È interessante notare come in generale sia infondata la correlazione tra uccisione di donne e cultura patriarcale. Anzi in paesi normalmente considerati più femministi, la percentuale di vittime di sesso femminile è alta (41,4% in Norvegia); al contrario è più contenuta in paesi più tradizionalisti (il 18,1% in Irlanda ed appena il 5% in Grecia). La sensazione – stando ai dati ONU – è che le donne siano relativamente più al sicuro in paesi dove vige una divisione dei ruoli tradizionale, mentre il rischio per le donne aumenti, tendendo a livelli “maschili”, nella misura in cui la loro esposizione sociale cresce, avvicinandosi a quella degli uomini.
I “teorici” del “femminicidio”, tuttavia, non prendono in considerazione il “rischio” per le donne in termini complessivi, ma si concentrano su un ambito specifico – quello dei moventi relazionali/passionali. In questo ambito è vero che in Italia, come in altri paesi, si registra una prevalenza numerica abbastanza significativa di vittime femminili. Tuttavia, non esiste alcuna evidenza che il fenomeno del delitto passionale sia in crescita; anzi secondo i dati è persino un fenomeno tendenzialmente in diminuzione.
Peraltro la violenza con motivazioni passionali non è necessariamente compiuta da un uomo su una donna. Si registrano ogni anno vari casi di uomini uccisi dalla moglie o dalla compagna. Negli ultimi mesi è capitato anche di uomini sfregiati con l’acido (qui e qui) da donne gelose o respinte. Cosa c’è di “diverso” o di “meno grave” in questi episodi, rispetto agli scenari in cui è la donna ad essere vittima? Se la risposta è “niente”, allora vuol dire che siamo d’accordo sul perché sono radicalmente sbagliate campagne politiche che creino, per lo stesso reato, vittime di serie A e vittime di serie B.
Le campagne contro il femminicidio, peraltro, partono da un presupposto di eteronormatività, quando invece comportamenti violenti si possono riscontrare anche in coppie gay e lesbiche. E allora, se una donna è uccisa da un’altra in una relazione omosessuale, ciò si qualifica come un “femminicidio”? Oppure l’uccisione di una persona di sesso femminile è meno grave se anche la mano che uccide è quella di una donna?
Stando ad analisi criminologiche, limitandosi a considerare i soli delitti motivati da ragioni relazionali-passionali – ed espungendo quindi uccisioni riferibili ad altre cause (ragioni economico-patrimoniali, eutanasia, etc.) – nel 2012 le donne morte per mano di un uomo sarebbero 53 in più degli uomini morti per mano di una donna. Ognuno di questi casi, indipendentemente dal sesso della vittima, ci impone rispetto e riflessione; eppure si tratta di numeri che non suggeriscono affatto le dimensioni di un’emergenza sociale.
Certo, laddove sussista una precisa volontà, non è difficile utilizzare sapientemente qualsiasi numero per costruire la percezione dell’emergenza e peggio ancora per consegnare all’opinione pubblica un nemico. Tuttavia, una politica civile e responsabile avrebbe il dovere di ricondurre i fenomeni criminali alle loro effettive proporzioni, senza assecondare o tanto meno incoraggiare isterie securitarie o colpevolizzazioni collettive. Ce lo immaginiamo, del resto, se tutti i giorni il TG1 dedicasse cinque minuti della sua programmazione ad una campagna contro “l’italianicidio”, presentando ogni sera un nuovo caso di cittadino italiano ucciso da un immigrato? Sarebbe contenta forse la Lega, ma cosa ne penserebbero invece le tante anime belle che sono in prima linea per denunciare l’emergenza “femminicidio”?
Se davvero si vuole combattere la violenza, si deve essere solidali con tutte le vittime, uomini e donne, e comprendere che la violenza non è un problema di genere, ma è un problema umano. Se si dà un’aggettivazione di genere alla violenza è perché quello che maggiormente interessa è spendere certi fatti in chiave politica per perseguire obiettivi diversi. Questi obiettivi sono fondamentalmente di due tipi.
Il primo è quello di alimentare l’infrastruttura istituzionale delle “pari opportunità”: non un femminismo spontaneo e di base, ma un femminismo invecchiato e burocratizzato che resiste nel “mercato delle idee” solo grazie ad una distribuzione continua di fondi pubblici. Alla fine tutto il “tam tam” di questi giorni si ricondurrà prosaicamente ad una sola cifra: gli 85 milioni di euro chiesti dal ddl 3390.
Il secondo – ancora più pericoloso – è quello di creare un clima culturale che rafforzi il pregiudizio contro gli uomini nelle cause di separazione e di affidamento figli, dando automaticamente più peso a qualsiasi denuncia venga dalle donne, anche quanto questa non sia sufficientemente circostanziata. Si tratta di un rischio più che concreto che potrebbe vanificare gli sforzi che in questi anni sono stati compiuti per cercare di addivenire a dei procedimenti più equi.
La campagna sul “femminicidio” è, in definitiva, una campagna sessista, che rinfocola gli stereotipi di genere – anziché combatterli – quelli dell’uomo violento e prevaricatore e della donna innocente e naturaliter buona. È dunque una campagna moralmente sbagliata e culturalmente pericolosa, che deve essere pertanto confutata se ci stanno a cuore i princìpi della neutralità della legge, del garantismo e di una vera uguaglianza di genere.

martedì 14 maggio 2013

Diario di un padre separato: la papà-cena!




 
http://abbattoimuri.wordpress.com/2013/05/13/diario-di-un-padre-separato-la-papa-cena/
di Capitan Daddy
È mercoledì, il giorno della cena col papà… ho due figli e da più di cinque anni nel classico mercoledì sera da papà separato passo a prenderli al ritorno dall’ufficio per cenare insieme; e da cinque anni loro lo segnano sul calendario; tuttavia nel bel mezzo della settimana si svolge un fantastico percorso ad ostacoli…
Questo dovuto al fatto che la più classica delle leggi di Murphy (se qualcosa può andare storto sicuro ci andrà) farà si che quanto previsto dagli accordi non si paleserà nei fatti.
Intanto, da parte mia, faccio tutto il possibile per evitare che impegni di lavoro non si accavallino nel tardo pomeriggio e così il mercoledì diventa giornata off-limit creando a volte non pochi imbarazzi tra colleghi, anche perché nonostante abbia la fortuna di avere un lavoro stabile e con orari fissi, capitano comunque impegni improvvisi non proprio conciliabili con appuntamenti prefissati.
Quindi quella tanto invocata flessibilità può diventare un boomerang infernale: l’elasticità lavorativa sarà inversamente proporzionale con la disponibilità della ex-moglie nel concederti il piacere di passare del tempo coi tuoi figli in orari o giorni diversi rispetto a quanto definito davanti al giudice, figura altrettanto curiosa, che per i separati diventa quasi un parente tant’è la responsabilità nel dettarti i tempi e i ritmi della tua nuova vita; tuttavia, più cercherai di attenerti a quanto previsto e più arriveranno le mitiche richieste di variazione delle 8 di mattina dello stesso giorno in cui pensavi, si, tu pensavi… ma non lo pensava lei!
Naturalmente per i figli questo ed altro e son sicuro che se dovessi, mi taglierei un braccio per loro ma son sicuro che troverà sempre un modo per dire la fatidica frase: “sei un egoista, prima vengono i tuoi figli!!! Allora dillo che non te ne frega niente!!!”; mi do sempre un consiglio: manda giù, lo fai per i tuoi figli, non vorrai mica dare seguito a queste bassezze che puntualmente verranno riportate, solo le tue, ai ragazzi e con dovizia di particolari?
Comunque, bando agli imprevisti, alle ore 18:30 se non è cambiato niente carico i pargoli e andiamo a casa, dalle richieste che arrivano, i ragazzi mi farebbero vivere in tre ore di tempo una settimana di divertimento e sentimento.
papà giochiamo a carte? tiriamo i rigori al campo? Mi scarichi Caparezza da youtube? Ti devo far leggere il fumetto degli xmen… guardiamo un film? organizziamo un torneo all’xbox? Ho bisogno che mi stampi una cosa per la ricerca della classe… “ e così via, non basterebbero, appunto 7 sere su 7 e sarebbe la normalità del rapporto genitori/figli; fortunatamente i ragazzi ormai sono abituati, anche ai miei salti mortali: è capitato anche che la mia compagna fosse fuori per lavoro quindi mi trovassi da solo mentre preparavo la cena, mischiavo il mazzo di carte e accendevo il pc lanciando ricerche su google… per il calcio di rigore in contemporanea mi sto ancora organizzando…
Mi rendo conto che sono piccole cose in confronto a quanto fa una madre, oddio, se avessi a disposizione lo stesso monte ore di frequentazione sono stracerto che farei esattamente le stesse cose che fa lei; mettetemi alla prova!!
Ore 21:30 si rientra alla base e devo confessare che spesso ho assistito a non pochi mugugni da parte dei ragazzi che però si premurano subito di organizzare la prossima volta che ci vedremo e mi rende felice perché hanno voglia di passare del tempo con me e questo mi ripaga tanto.
Naturalmente guai a sgarrare di 5 minuti l’orario del rientro… cazzarola, a volte le signore si fanno attendere intere mezz’ore… e noi per il tempo di una pipì veniamo folgorati, già, perché capita l’imprevisto che mentre stai uscendo: “papà devo andare in bagno…” che fai? Gli dici no? E va bene tua mamma aspetterà…
Per fortuna che a settimane alterne ci sono i week end e sono un grosso sollievo, insieme riusciamo a prenderci i nostri tempi, riusciamo a realizzare le nostre piccole abitudini, possiamo decidere insieme nel corso della giornata cosa fare insomma; peccato che passano troppo in fretta.

Alza la voce e perde il figlio...

 

David Pisarra, a Men’s Rights lawyer, discusses ‘the new type of abuse—the marginalization of fathers.’

Fonte:
 http://goodmenproject.com/conflict/raise-your-voice-lose-your-child/

He raised his voice at me, and I was frightened he was going to hurt me and the kids.”
That’s it. That’s all it takes for a man to lose his children in today’s hyper-sensitive landscape of domestic violence prevention.
This sea change can be traced to the days and months following the tragic death of Nicole Brown Simpson, when the public outcry by the domestic violence lobby moved beyond confronting actual physical altercations and began focusing on the perceived threat of violence. By casting such a wide net, centered almost entirely on male against female domestic violence, there have been unintended consequences that play themselves out in Family Court every day.
♦◊♦
With nothing more than a woman stating, “I was frightened he might hurt us,” a court can remove a man from his home and prevent him from seeing his children for a minimum of three weeks. Often the court will also order either an anger management or a batterer’s intervention class and generally grant the demand by his ex-spouse that he have supervised visitation.
The intrusion by the courts into family dynamics has become so extreme that the domestic violence laws are no longer being used to protect potential victims, but rather to victimize potential abusers.
Let me be clear about this: in the eyes of the court, all men are considered to be potential abusers. No matter his history, if there was any provocation, or if he was in fact the abused victim. This last point is made even more interesting when considering that female-on-male domestic violence make up 50-percent of all cases, yet it is the man who is singled out as being potentially dangerous. And while as an attorney, my professional life is predicated on “innocent until proven guilty,” and “all” is a word to be carefully considered before using, I will say that due to O.J. Simpson’s horrific, inexcusable, and deadly behavior, a shadow has been cast on all men in all cases.
The courts no longer believe there is any appropriate expression of anger and, in essence, have outlawed the emotion. We have made it strategically impossible for a person to display anger in any form, whether a mental health professional would label it a “healthy expression” or not, without the line being automatically drawn to an actual act of physical violence.
But the fact is that humans have a full range of emotions. We get happy, we get sad, and yes, we get angry. And while it is absurd to think that our judicial system could legislate our happiness or sadness, it appears to gladly accept the notion that expressing anger in any fashion should have legal consequences.
♦◊♦
In states across the country, if one parent is determined to be an “abuser”—and in California that means a raised voice—that person is no longer presumed to be a fit parent. The “victim parent” is now presumed to be a better parent and has an advantage when the court makes final determinations of child custody, visitation, and move-away plans to new cities, states, or countries.
This has created the unintended consequence of the strategic domestic violence restraining order. When one parent wants to take unfair advantage in a divorce or paternity case, all that is needed is the granting of domestic violence restraining order and the court will automatically suspend the other parent’s parental rights—usually for a short period. But to the cut-off parent, that brief time can seem like an eternity.
If the court determines that there are grounds for a permanent order, the cut-off parent may be forced to endure a 52-week batterer’s intervention course. The problem with this is that in the flimsy guidelines of what defines domestic violence these days, almost any fact pattern can be twisted to create “violence.”
For fathers who are required to have a monitor to see their children, which is becoming a more common occurrence as a requirement due to the domestic violence allegations, they may be unable to see their children. The costs of a paid monitor can quickly become prohibitive since the man will also be ordered to pay child support, often spousal support, the cost of the batterer’s intervention or anger management classes, and he has to find his own apartment since he’s been evicted from his home.
♦◊♦
Domestic Violence Restraining Orders originally were meant to be a protective measure by the courts. But they have become a fast track process by which unscrupulous parties gain sole legal and sole physical custody of the children.
And, as is typical in “win at all cost” child custody cases, it is often the child that suffers the most. The “victim parent” strategy may yield short-term results for the accusing spouse, but the bad lessons learned by the child may last a lifetime.
Fathers who are truly guilty of domestic violence or child abuse should be viewed as criminals and treated as such. But in our rush to avoid these types of tragedies through a “zero tolerance policy,” we have gone against the most important tenet of the law: Innocent Until Proven Guilty. And the result is that we are creating and perpetuating a new type of abuse—the marginalization of fathers.

Infanticidio, ben 197 casi nel solo 2011.

Infanticidio, ben 197 casi nel solo 2011. Un fenomeno in crescita, figlio della solitudine
















 Fonte:
http://www.adiantum.it/public/3351-infanticidio,-ben-197-casi-nel-solo-2011.-un-fenomeno-in-crescita,-figlio-della-solitudine.asp

In epoca di improbabili slogan di genere e moderna terminologia, i fenomeni sociali più radicati rischiano quasi di passare in secondo piano. Oggi è di gran moda il dibattito su un fenomeno che, a ben vedere, fenomeno non è affatto: il c.d. femminicidio.
La campagna di disinformazione su questo non-fenomeno rischia di far passare inosservata la tre statstica sull'infanticidio e sull'abbandono di bambini da parte di giovani madri. Secondo i dati diffusi dalla SIN - Società italiana di Neonatologia, in Italia ogni anno 3000 neonati vengono abbandonati. Nel solo Policlinico Mangiagalli di Milano, nel 2012, sono stati praticati 1300 aborti, senza contare il permanente fenomeno degli aborti clandestini e la diffusione della "pillola del giorno dopo", talvolta acquistata illegalmente via Internet.
Il volume di Vincenzo Mastronardi, Manuale per operatori criminologi e psicopatologici forensi, si sofferma poi su un dato sconvolgente: i casi di infanticidio nel 2011 sono stati 197. Negli ultimi anni la cifra conosce solo alcune variazioni, rivelando quindi un fenomeno stabile.
Si resta senza parole. Tra tutti i crimini, l'uccisione di un bambino è ciò che fa più orrore soprattutto considerando che quasi sempre sono le mamme stesse a compierlo.
Sparse sul territorio ci sono 40 "culle della vita", derivazione di quella ruota "degli esposti" di conventi e monasteri in cui un tempo si lasciavano i neonati. Queste culle però non sono diventate ciò per cui sono nate. In genere restano vuote. Esiste anche la possibilità di partorire anonimamente, ma ben poche donne se ne avvalgono.
Nonostante tutto le mamme uccidono i bambini come non accadeva nelle generazioni passate. In alcuni casi si spiega con il disturbo depressivo che spesso si affaccia dopo il parto. In altri casi si tratta di madri adolescenti che non vogliono rendere nota la gravidanza. Qualche volta sono le ragazze immigrate. Possono essere prostitute che arrivano a odiare il bambino concepito, ma anche donne che hanno un lavoro dignitoso.
Cosa non funziona? La vergogna sembra insensata dato che nessuno oggi disprezza la madre single. Forse è una nuova vergogna: possono dirti che, se sei rimasta incinta, sei stupida. A volte si vuole nascondere la maternità a un marito lontano. A volte... chissà cosa succede.
È lecito pensare che nel fenomeno dell'infanticidio ci sia malattia o immaturità, paura o disagio sociale. Gli esperti dicono che "bisogna intercettare le madri" prima che accada l'irreparabile. Si tratta allora di voler vedere e decidere di intervenire anche se non si è assistenti sociali. È possibile che i genitori non si accorgano che la figlia aspetta un bambino? È possibile che un insegnante non veda? E dove sono gli amici?
Anche la donna disastrata vive accanto a qualcuno. Ci sarà pure una vicina che intuisce la potenziale difficoltà. Dietro il fenomeno dell'infanticidio quindi si può cogliere anche un male che la fa da padrone nel nostro tempo: la solitudine e l'isolamento. 

Fonte: Redazione - tratto da Bresciaoggi.it

domenica 12 maggio 2013

Femminicidio, i numeri sono tutti sbagliati



Categoria: PATACCHE dell'INFORMAZIONE
Femminicidio, i numeri sono tutti sbagliati - Fabrizio Tonello - Il Fatto Quotidiano

Siamo diventati il Paese dove il maschio ha licenza di uccidere” titolano i giornali portando dati sul presunto aumento esponenziale della violenza contro le donne (leggi il blog di Nadia Somma). Ma i numeri sono tutti sbagliati. Per esempio, su Repubblica di domenica 5 maggio c’era una tabella da cui appariva che nel 2005 gli omicidi fossero stati appena 84, contro i 124 del 2012, con un aumento di quasi il 50% (fonte: fondazione David Hume). Un aumento degli omicidi del 50% in 7 anni giustificherebbe il panico, ma non è così. Non uno, ripeto non uno, dei dati citati in questi giorni da giornali e televisione viene da una fonte attendibile come l’Istat o il ministero dell’Interno: per esempio, nella tabella citata si enfatizza il dato di 25 donne uccise nel quadrimestre gennaio-aprile senza rendersi conto che questo corrisponderebbe a una media annuale di appena 75 omicidi, cioè il 40% in meno dell’anno scorso.
Si mescolano disinvoltamente aggressioni e omicidi, stupri e molestie, molestie psicologiche e sfregi con l’acido. Si citano calcoli di dubbia scientificità sulla probabilità che ha una donna di essere stuprata, nell’arco di una vita, cioè fra i 13 e gli 83 anni: un periodo di sette decenni (come se potessimo confrontare l’Italia di oggi a quella del 1943, o a quella del 2083 per intenderci).
I migliori dati disponibili sono ovviamente quelli dell’Istat, che ha i mezzi e la cultura per dare un senso alle cifre e la serie che l’istituto fornisce è inequivocabile: la violenza che sfocia in omicidio da vent’anni è in calo. Nel 1992 c’erano stati in Italia 1.275 omicidi, nel 2010 (ultimo anno disponibile) appena 466, cioè poco più di un terzo. La diminuzione riguarda principalmente gli uomini ma anche le donne: se c’erano state 186 vittime nel 1992, nel 2010 ce ne sono state 131, con un calo del 29,57%.
Ora, potrebbe essere che all’interno di una diminuzione generale degli omicidi, la particolare categoria delle donne uccise da un partner, o da un ex partner, sia in aumento. Questo è possibile ma non abbiamo dati per affermarlo perché occorrerebbe chiarire il rapporto assassino-vittima per tutti i casi censiti. A mia conoscenza questo lavoro non viene fatto dalle fonti ufficiali e l’unica ricerca accademica che ha utilizzato questo approccio è stata fatta da Elisa Giomi dell’Università di Siena e da me, studiando a fondo i dati del 2006. La ricerca è stata accettata da una rivista internazionale di sociologia e comparirà tra qualche settimana. Quello che possiamo anticipare qui è che, nel 2006, furono risolti i casi di 162 omicidi di donne e che, tra questi, 100 erano casi in cui il colpevole era un marito, un fidanzato o un ex.
Nell’ipotesi che il tasso di omicidi da parte di uomini con cui le vittime avevano una relazione sia rimasto costante al 62%, com’era nel 2006, le vittime del 2010 sarebbero state 81. Poiché si parla, nei giornali, di 25 vittime nei primi quattro mesi dell’anno, nel 2013 le donne assassinate da uomini che avevano rifiutato potrebbero diventare 75: siamo di fronte a un fenomeno grosso modo stabile, non a un’emergenza mai vista prima.
Anche un solo cadavere è di troppo, anche una sola vittima è “insopportabile” ma, in un Paese di 60 milioni di abitanti, ci saranno sempre i mafiosi, i violenti, i folli. E’ fondamentale che la violenza venga punita ma creare il panico non serve a nessuno, men che meno alle donne, che a guardare i titoli dei giornali dovrebbero aspettarsi più aggressioni che carezze dai loro partner. Ogni separazione potrebbe essere il preludio a un attacco con l’acido o a un omicidio: non è così. Lo ripeto: gli omicidi di donne sono un fenomeno stabile, tendenzialmente in calo qualsiasi sia l’anno preso come riferimento: oscillano fra i 160 (1998) e i 131 (2010). Non c’è bisogno di inventare cifre balzane e di firmare appelli alla creazione di “task force” ministeriali per sapere che i colpevoli vanno arrestati, perseguiti, condannati severamente. Le leggi ci sono.
Infine, una nota sul linguaggio. Spesso si usa il termine “femminicidio” per chiamare le aggressioni contro le le donne anche quando, fortunatamente, non hanno conseguenze mortali: per esempio uno sfregio con l’acido. Ora, un omicidio è un omicidio, e “lesioni gravissime” sono lesioni gravissime. Dalla tomba non si esce, dall’ospedale sì. Per di più, il “femminicidio” sarebbe un’espressione impropria anche in caso di morte: a imitazione di “genocidio” si crea una nuova parola che crea una nuova realtà: le donne uccise “in quanto donne”, come gli ebrei, sterminati “in quanto ebrei”.
Ma il paragone non regge: gli ebrei Samuel, Israel, Ruth o Esther venivano mandati dai nazisti nelle camere a gas per il solo fatto di essere di religione ebraica, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione. Le donne uccise da ex partner non vengono uccise “in quanto esseri umani di sesso femminile” bensì esattamente per la ragione opposta: per essere quella donna che ha rifiutato quell’uomo. Michela Fioretti è stata uccisa dall’ex marito Guglielmo Berettini, che non accettava di essere stato lasciato. Berettini non ha sparato sei colpi di pistola contro la prima donna che ha visto per strada: ha ucciso Michela perché era Michela che l’aveva lasciato. Non c’è bisogno di creare una nuova categoria di reati, di inventarsi nuove pene: per l’omicidio c’è già l’ergastolo. Chiamiamo le cose con il loro nome, puniamo i violenti ma guardiamo in faccia la realtà e non creiamo il panico quando non ce n’è bisogno.
Occorre stare in guardia contro la facile presa di una “bolla informativa” che impaurisce l’opinione pubblica. Agli amici e alle amiche ben intenzionate che si mobilitano su questo tema vorrei dire che la paura è un potente strumento di governo e raramente l’ingigantirla ha portato benefici di sorta ai cittadini. Nel 2006-2007 sembrava che dietro ogni omicidio di una donna ci fosse un extracomunitario, nel 2013 sembra che il colpevole debba essere un marito o un ex: prima di creare task force ministeriali o addirittura nuove leggi guardiamo ai numeri veri del fenomeno

mercoledì 8 maggio 2013

Marinella Colombo, condanna anche in appello. 10 mesi alla nonna dei bambini - Associazione di Associazioni Nazionali per la tutela dei Minori

Marinella Colombo, condanna anche in appello. 10 mesi alla nonna dei bambini






Marinella Colombo, condanna anche in appello. 10 mesi alla nonna dei bambini - Associazione di Associazioni Nazionali per la tutela dei Minori


Sale ad un anno e 8 mesi, rispetto al primo grado (un anno e 4 mesi), la condanna in appello per Marinella Colombo, la donna accusata di aver portato via da Monaco nel febbraio 2010 i figli avuti dall'ex marito tedesco.
I giudici hanno, in sostanza, confermato l'assoluzione per l'accusa di sequestro di persona. La condanna arriva per sottrazione internazionale di minore e maltrattamenti. Condannata a 10 mesi anche la madre della Colombo.
Si arriva così al secondo grado di giudizio su una vicenda che ha appassionato l'opinione pubblica e che ha comunque aperto uno squarcio di luce sullo Jugendamt, l'organizzazione governativa tedesca al centro di numerose proteste per i metodi poco trasparenti con cui la Germania, di fatto, viola la Convenzione Europea e i trattati internazionali in materia di affidamento dei figli ai genitori non-tedeschi.
Lo Jugendamt è un ente statale tedesco, qualcosa di più che un ufficio di assistenza giovanile, come invece si pensa. L’organizzazione, che svolge anche un’encomiabile opera a difesa dei giovani sottoposti a violenza, ha la funzione di sostegno attivo ai tribunali e di difesa degli interessi della Germania. Il codice sociale tedesco prevede per legge che lo Jugendamt intervenga sempre quando ci sono della cause di divorzio tra genitori che hanno figli minori, soprattutto quando a separarsi sono coppie binazionali.
In tribunale, al momento della separazione, sono presenti la mamma, il papà e come parte in causa lo Jugendamt (il terzo genitore). Il suo compito è quello di garantire il Kindeswohl, letteralmente “bene del bambino”, che per i tedeschi non è il bene superiore dei figli – come previsto da tutte le convenzioni internazionali – ma è il bene del bambino secondo la comunità tedesca.
In poche parole: lo Jugendamt tende ad anteporre l’essere tedesco dei bambini al loro vero bene, facendo in modo che nessun minore lasci la Germania, che l’affido esclusivo non venga mai dato al genitore straniero, e interrompendo o rendendo difficile i suoi contatti col figlio. Come? Ad ogni costo, con qualsiasi mezzo, spesso anche con misure penali. E gli esiti possono essere devastanti.

Fonte: ADIANTUM - ANSA

http://www.adiantum.it/public/3344-marinella-colombo,-condanna-anche-in-appello.-10-mesi-alla-nonna-dei-bambini.asp

domenica 5 maggio 2013

Dall'Australia un campanello di allarme sugli effetti delle separazioni.


young-boys-difficulty-adjusting-to-divorce

http://www.f4e.com.au/blog/2011/05/29/report-on-family-separation-reveals-surprises/

A recent study conducted by the Australian Institute of Family Studies performed in the wake of the 2006 family law reforms has exposed a number of surprising facts about adolescents’ adjustment after parental separation.
The study, which was based on 623 Australian teenagers between the ages of 12 and 18 whose parents had separated between July 2006 and September 2008, was released yesterday by the federal Attorney-General, Robert McClelland.
The study found that boys often have a harder time adjusting to their parent’s separation…
The study found that boys and girls tend to react differently to parental separation. The study found that boys often have a harder time adjusting to their parent’s separation and are more likely than girls to feel that it would have been better if their parents didn’t separate.
According to Jodie Lodge, a research fellow at the Australian Institute of Family Studies, and the study co-author, boys may experience greater distress than girls because of less maturity and awareness of the problems in the marriage.
The study also found that most adolescents did not want to have a say in which parent they lived with.
The study also found that most adolescents did not want to have a say in which parent they lived with.
”It’s important for young people to have a voice but important to recognise some don’t want to be put in the position of having to choose between parents”, Dr Lodge said.

mercoledì 1 maggio 2013

Il Brasile criminalizza la PAS (Parental Alienation)

Dads on the Air, Parental Alienation, Brazil


Finally the world has witnessed the first Government with the courage and insight to recognize and legislate for the criminalization of Parental Alienation. Brazil is the first country in the world to actually enshrine the cursed criminal behavior of Parental Alienation into its criminal code of justice. By so doing, Brazil is now leading the way into facing up to the  world’s human rights responsibilities, which obliges every country to protect the human rights of it’s nations’ children, by ensuring all their children enjoy a continuing relationship with both of their responsible parents.
First up we speak with Brian Ludmer, Lawyer and Expert on Parental Alienation in Toronto Canada. Brian is a highly credentialed lawyer with expertise in corporate /commercial and securities law and Family Law, most particularly with Parental Alienation.
The advantages of having exposure to both fields is that his commercial background brings a perspective to what Family Law could be or should be when Family Law is often dysfunctional. The understanding promotes negotiations between parents. The difference is that in business the benefits are often shared which may not be the case in Family Law. In Family Law it is often a zero sum with winner takes all instead of the optimal situation of two healthy homes.
Brian has written many papers on PA. He defines PA as a pattern of behaviour or a strategy by an aligned parent leading to a rejection in whole or in part of the other parent. You look at the results to determine if it is mild, moderate or severe. It is sometimes called “Parental Alienation Syndrome.”
We then speak with Tamara Brockhausen Psychologist and writer on Parental Alienation from Sao Paolo, Brazil, who is the wife of Judge Elizio Perez, the Brazilian Judge who wrote the world’s first Law criminalising Parental Alienation from Sao Paolo, Brazil. Tamara kindly volunteered to translates the interview with Judge Perez.
Judge Perez commented that although parental alienation occurs in Brazil as it does in other countries the justice system ignored it until the legislation that he introduced.
The law has been in place in Brazil since August 2010. There is still some resistance in Brazil to even the existence of PA among professionals such as therapists so the Judge sees this as a good thing that the law is in place.
The broader application of the law is that parents who are worried that there may be PA occurring can read the law for themselves and then ask questions. They are worried about the penalties to which they may be exposing themselves.
A good thing about the new law is that PA is set out and defined so Judges can do something without having to wait for a report from Psychologists or other professional experts.
Judge Perez said that the list of symptoms set out in the law came from the professional advisers such as therapists and affected parents. When proved in Court the Judge can impose a fine or one of the other penalties.
The penalties available include uncapped fines. The Judge determines the amount of the fine after taking everything into account including the severity of the alienation and the means of the parents. Fines have ranged from $100 to $1000 a day while the alienation continues. Other remedies include increasing the time with a parent or making it joint. If joint is not possible the Judge can reverse the residence order.

Fonte:
http://dadsontheair.squarespace.com/