venerdì 1 febbraio 2013

La speranza di un nuovo don Bosco.




Fonte: www.guidatv.commonguide.com

Caro don Chavez Villaneuva, 

ieri, 31 gennaio, ero nel Santuario di Maria Ausiliatice, ero uno dei tanti che partecipavano alla funzione  alle 18.30, ero uno delle migliaia di Torinesi che gremivano la chiesa per la festa di San Giovanni Bosco. Non ti vedevo neanche, mi sono dovuto abbarbicare sul matroneo, come su un sicomoro, per scorgerti. La tua omelia mi ha colpito.

Hai parlato dei mali che aggrediscono i giovani nel mondo, dallo sfruttamento nel lavoro, al turismo sessuale, allo sfruttamento dei giovani nella guerra. Hai usato la parola giovani, e non minori, come piacerebbe  a molti operatori del diritto.
Hai parlato della tua esperienza con i giovani, in particolare delle loro paure, della loro insicurezza, della incertezza per un futuro, per la famiglia.

Tutto bene, tutto vero, tutto noto. Sia i mali sia i pericoli che i giovani d’oggi sperimentano, da te descritti, sono reali, sono noti, sono veri, sono mondiali. E qui ci si potrebbe proferire in quelle meravigliose frasi “basta leggere sui giornali per …” per riscuotere dall’uditorio consensi, plausi. Ma tu non lo hai fatto, non hai parlato dei giornali, hai parlato di don Bosco  e del suo sistema didattico e formativo.
Tu hai fatto riferimento alla ragione, alla religione, all’amorevolezza, come assi del sistema educativo (1).
Il politically correct suggerirebbe che, in un’epoca di forte crisi economica e lavorativa, si parlasse di crisi del lavoro, di incertezza del futuro, della precarietà del futuro e della politica. Ma non sei stato politically correct, sei stato più reale, e per questo non avrai il plauso dei giornali.

C’è dell’altro, accanto alla realtà descritta dai giornali. Una realtà che forse in parte spiega proprio i disagi dei giovani, da te citati nell’omelia del 31 gennaio. Una realtà che non spiega i disagi alla scala mondiale, non tutti i disagi, non completamente, non esaurientemente; però può dare una spiegazione ai problemi alla scala locale, alla scala di Torino, alla scala di comunità
Basta essere “nel mondo”, non necessariamente del mondo per accorgersi che alla base delle paure e delle insicurezze di molti giovani c’è, sempre di più, l’incertezza dell’amorevolezza della famiglia, intesa come cellula della società o specchio dell’amore di Dio. Come ebbe a dire mons Bagnasco : "La gente non perdonerà la poca considerazione verso la famiglia così come la conosciamo".

In particolare sembra che vi sia una costante ritrosia a parlare delle famiglie separate civilmente e delle conseguenze che le separazioni arrecano ai giovani. E ciò da molte parti, sia in politica, sia in Chiesa.
Nonostante la legislazione italiana sulla separazione civile sia stata osteggiata dalla mondo cristiano, ad oggi in Italia essa genera effetti macroscopici ed innegabili: circa il 30% dei matrimoni , cioè quasi un matrimonio su tre, sono sciolti civilmente.
Ciò signfica, don Chavez, che il 30% delle persone che ieri nel santuario di Valdocco ti seguivano, il 30% dei giovani, il 30% degli adulti, hanno esperienza di separazioni civili. In totale ci sono circa 4 milioni di separati, chiaro effetto di una attiva secolarizzazione e laicizzazione dei credenti.

A causa di odiose prassi dei tribunali, non sostenute da nessuna valutazione di tipo scientifico, i figli dei separati sono costretti a trascorrere tempi sbilanciati con le figure genitoriali. Ad oggi sono i padri a subirne più frequentemente le conseguenze, dovendo essi forzosamente abbandonare affetti ed effetti. Di ciò i giovani d’oggi sono indubbiamente i silenziosi testimoni. A causa della demonizzazione di genere, portata avanti e sostenuta dagli affaristi del conflitto sociale, dalla mai sopita secolarizzazione e laicizzazione dei rapporti umani, la strada per i nostri figli verso la PAS (Parental alienation syndrome) , la alienazione genitoriale, è spalancata.

L’omissione, nei media, di qualunque riferimento a questa incessante e mai sopita laicizzazione e secolarizzazione della famiglia e degli affetti, equivale in parte ad autorizzare la scelleratezza delle istituzioni, che, noncuranti della ragione, della religione, dell'amorevolezza  ben si prestano alla odiosa prassi (2).

In Italia la prassi consolidata diventa diritto. Risalire la china, per i nostri giovani, ristabilire gli affetti, avere un rapporto equilibrato con i  genitori è conseguentemente sempre più difficile. Soprattutto, ad oggi, è loro impedito dalla prassi dei tribunali.

Altro che amorevolezza!


E la situazione Italiana è talmente lampante che la corte di Strasburgo ha recentemente condannato il sistema giuridico italiano, che di fatto impedisce o non è in grado di creare le migliori situazioni affinché i genitori possano essere tali e i giovani possano godere dell’amorevolezza di entrambi i genitori. La sentenza è del 30 gennaio, il giorno prima della festa di Don Bosco! Qual meravigliosa coincidenza, Chavez, a sapere che prima della tua omelia, altrove, un’altra persona parlava di giovani! A denunciare l’assenza delle istituzioni non è stato un sacerdote, ma un giudice! Non in Italia, ma a Strasburgo!

In Italia oggi le istituzione languono, in materia di famiglia.
Ai tempi di Don Bosco, era l’industrializzazione e lo sviluppo delle città a indurre i nostri figli a separarsi dalle famiglie, dai genitori, con il rischio di trovarsi allo sbando nel mondo, a non avere riferimenti economici, concreti, affettivi, spirituali. E le istituzioni torinesi poco si curavano dei giovani, utilizzando, anziché gli straordinari strumenti didattici e formativi di don Bosco, gli strumenti giudiziari, il carcere.  E fu don Bosco a interessarsi di questi giovani, anche contro l’atteggiamento omissivo e omertoso di altri sacerdoti consacrati (e a cui, Chavez, tu ieri ha fatto riferimento durante l’omelia al Santuario di Maria Ausiliatice), a raccogliere le loro paure, a dare speranza, fiducia, con l’opera di aiuto concreto e spirituale che ben tutti conosciamo.
Allora era lo spirito dell’economia e del tempo, dell’ottocento di Don Bosco, a generare le vittime. Erano le carceri minorili a far peggiorare le situazioni. Era don Bosco che, vivendo nel mondo, raccoglieva le esigenze, creando dei Santi.

Oggi è forse lo spirito del mondo, una sorta di inspiegabile Zeitgeist, a dividere le famiglie, insieme alle indiscutibili strumentalizzazioni da parte degli esperti del matrimonio, inclusi avvocati, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri, giudici. Ora come allora sono le istituzioni a fallire, fornendo soluzioni stereotipate per i problemi dei nostri giovani. Non più il carcere, ma comunque la privazione degli affetti.

Ieri sera, Chavez, tu durante l’omelia, hai rivolto una domanda retorica:
Esistono ancora dei don Bosco? Esistono ancora dei Santi?

E hai dato una risposta affettuosa, piena di speranza, che si sentiva venire dal cuore “SI, esistono ancora. Esistono ancora dei don Bosco ”.
I giovani di genitori separati aspettano questo nuovo Don Bosco.
Aspettano di sentire, nelle omelie, un nuovo don Bosco, che si rivolga ai giovani strumentalizzati nel lavoro, nel turismo sessuale, nella guerra, ma anche ai giovani privati dell’amorevolezza dei genitori e vittima delle istituzioni.

Distribuzione dei tempi di permanenza genitori/figli

(1)

(2) tratta dall’omelia di don Chavez

Desidero accennare al terzo asse portante del Sistema Preventivo come l’ho vissuto. L’ho trasmesso ai miei salesiani come sacra eredità, quasi uno specifico distintivo: l’amorevolezza. Una parola che non ho inventato io, ma che ho fatto mia. Tipica del mio modo di educare.
Distintivo inconfondibile della mia pedagogia. In questa parola racchiudevo uno stile d’amore che identificava l’educatore con i giovani fino ad amare le stesse cose da essi amate, fino a trasformare il rapporto educativo in uno stile di presenza filiale e fraterna, una presenza amica e desiderata e l’ambiente educativo in una “famiglia”.

Nessun commento:

Posta un commento